Fare del bene senza disperare
Dopo aver ascoltato nel testo di ieri l’esigenza evangelica dello scegliere gli ultimi posti oggi ci vengono proposti gli “ultimi” come invitati privilegiati alla nostra tavola. A questo è associata anche una beatitudine. A prima vista è una beatitudine al contrario. Infatti, chi invita ha più oneri di chi è invitato: dunque dove sta la beatitudine?
In realtà, il testo non si sofferma su chi ha più o meno oneri e descrive il tipo di invitati. Il primo gruppo è formato da “amici, fratelli, parenti, ricchi vicini”. Il secondo da “poveri, storpi, zoppi, ciechi”. Ciò che differenzia le due categorie di persone è che alla prima si è legati per l’amicizia, la parentela, la ricchezza, mentre con la seconda non sussiste alcun tipo di legame né affettivo né economico, anzi sono persone che a vari livelli mancano delle cose più elementari: un minimo di ricchezza che permetta di non essere poveri, un corpo che abbia la capacità di camminare correttamente e di vedere.
Inoltre, il primo gruppo è caratterizzato per tre volte da un significativo “tuoi”: “i tuoi amici, i tuoi fratelli, i tuoi parenti”. In questo modo si vuole esprimere un legame di appartenenza a un gruppo di persone che rischia di essere escludente.
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La discriminante tra due gruppi è il contraccambio che la prima categoria può dare e la seconda no. Ma poi si aggiunge che il contraccambio della seconda categoria di persone verrà comunque dato, ma non si specifica da chi. Quindi, a rigor di termini, non è detto che il contraccambio della seconda categoria di persone non ci sarà, il contraccambio ipotizzato da costoro ci sarà, ma verrà dilazionato.
La beatitudine, quindi, non consiste nel non avere il contraccambio, ma nel non aspettarselo direttamente dai poveri invitati e dal saperlo aspettare.
È la logica dell’amore gratuito e disinteressato insegnata da Gesù in Lc 6,32-35: “Se amate quelli che vi amano quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori amano quelli che li amano. E se fate del bene a coloro che fanno del bene a voi quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se prestate a coloro da cui sperate di ricevere, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto. Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza disperare e la vostra ricompensa sarà grande” (trad. Einaudi).
Questo testo ci aiuta a comprendere meglio ciò che Gesù sta dicendo. Qui la discriminante non è tanto l’amare o il non amare, il voler bene o il non voler bene, il prestare o il non prestare, ma il fare tutte queste cose senza disperare una ricompensa. Infatti, si aggiunge subito che la ricompensa “sarà grande”.
Dunque, la vera beatitudine a cui si riferisce Gesù deriva dal fatto che quando si invitano i poveri una ricompensa ci sarà. È di questa ricompensa insperata che Gesù ci insegna a non disperare.
Il fare il bene “senza disperare” fa star bene, e questo bene è il “centuplo” di quaggiù a cui farà seguito la vita eterna promessa da Gesù (cf. Mc 10,30). Occorre averne coscienza e saperlo vedere, così sperimenteremo già qui e ora la beatitudine di cui Gesù sta parlando.
fratel Dario di Cellole
Per gentile concessione del Monastero di Bose
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