“Non ti è lecito”
Il testo di oggi ci pone di fronte al capovolgimento dei riferimenti umani: chi è davvero il “potente” in questo racconto? È il re, organizzatore di banchetti, che può permettersi di sottrarre la moglie a un altro e di decidere della vita di un uomo o è qualcun altro che qui agisce e parla con potenza?
Da una parte abbiamo il tetrarca Erode Antipa (figlio di Erode il Grande, colui che aveva cercato di uccidere il neonato Gesù), che con tutto il suo potere non è che una banderuola, prigioniero della paura: paura del popolo prima, del giudizio della gente poi, di opporsi alla volontà di una ragazza, e infine paura dei suoi stessi fantasmi (il Battista redivivo in Gesù).
Dall’altra abbiamo Giovanni, profeta prigioniero, ma profondamente libero, certo non una “canna sbattuta dal vento” (Mt 11,7); uomo dalla parola audace, libera, cui viene attribuita una potenza (dynamis), anche da morto, che fa tremare i potenti…
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Con l’espediente narrativo del flashback Matteo ci fa conoscere cosa è accaduto al Battista. Sapevamo che era in carcere (cf. Mt 11,2), ma solo ora ci viene svelato il perché. Egli era stato rinchiuso perché con fermezza aveva osato svelare al potente di turno il suo peccato, ciò che lo rendeva in verità un uomo umanamente piccolo: “Non ti è lecito tenere con te la moglie di tuo fratello”. Non ti è lecito perché, nel fare ciò, tu manchi verso tuo fratello (cf. Lv 18,16; 20,21), spezzi il legame di fraternità che ti lega a lui, lo svilisci, uccidi la tua relazione con lui, e questo non può essere mai volontà di Dio.
Ma Erode non aveva gradito (non gradiamo mai chi ci svela le nostre mancanze di carità!) e sceglie di sbarazzarsi del problema: rinchiude Giovanni per silenziare la sua parola scomoda, pur non avendo il coraggio di farlo uccidere.
E così facendo egli si preclude la via del pentimento per accedere ad un cammino fatto di paura…
Da qui non sarà che un crescendo di irresponsabilità, violenza e paura: durante il banchetto organizzato per il suo compleanno il re si lascia andare ad una promessa sconsiderata, solleticato dalla sensualità del ballo della sua giovane figliastra, promessa che non osa rimangiarsi quando gli viene chiesto quanto non vorrebbe concedere. Ecco allora il piatto forte del banchetto: la testa del Battista. La morte al culmine della festa; ben diverso dalla vita offerta nel pane spezzato e condiviso da Gesù, al suo banchetto, solo pochi versetti dopo (cf. Mt 14,13-21)!
La vicenda terrena del Battista si conclude così, per il capriccio di una fanciulla istigata da sua madre e la pavidità di un re incapace di una propria volontà; è il destino del profeta che “non è disprezzato se non nella sua patria” (Mt 13,57), parola che riguarderà Gesù ma già realizzata nel Battista, l’Elia che deve venire (cf. Mt 11,14); proprio quell’Elia che era stato profeta a sua volta perseguitato dalla regina Gezabele e dal suo succube consorte, il re Acab (cf. 1Re).
Ma il Battista “parlerà” ancora, e proprio con la sua morte: a Gesù che riconosce nella sorte del Precursore l’annuncio del suo stesso destino e sceglie di abbracciarlo (cf. Mt 14,13); ad Erode che vivrà ossessionato dalla propria paura di un uomo morto.
sorella Annachiara
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