In questo testo viene riconosciuta l’autorità e l’autorevolezza di Gesù: “parlava con autorità” (v.32) e “comanda con autorità e potenza” (v.36); questa consapevolezza fa da cerniera al brano che narra l’incontro con un uomo con un demonio. Qui è difficile dire che cosa avesse quest’uomo, forse una malattia psichica di cui al tempo di Gesù non se ne avevano spiegazioni. Ma l’importante è la modalità di incontro con Gesù che si avvicina, non lo teme e lo restituisce alla vita.
Di fronte a questi episodi della vita di Gesù ci si sente un po’ disorientati e il perché è forse da ricercare nella fatica che noi facciamo a credere all’autorità e alla potenza di Gesù e alla forza della fede, fede che può spostare le montagne (cf. Mt 20,21)!
Noi crediamo ancora alla potenza della fede? Crediamo che il Signore risorto ha autorità e potenza? Sono domande forti che rivelano la nostra fede atrofizzata, una fede che resta più su un piano umano, più di atteggiamento e comportamento di vita che cerca e dona amore. Ma noi sappiamo lasciare spazio nelle nostre vite all’agire del Signore risorto?
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Nello scorrere del tempo avvertiamo sempre più forte il senso di impotenza di fronte a tante vicende, situazioni, ingiustizie, morti, … e allora ci scoraggiamo e quasi perdiamo il senso del nostro vivere, la vita sembra abbattersi su di noi con la sua ineluttabilità e un sentore di non senso. Però è forse proprio in questi tempi che dobbiamo guardare al Signore, alzare lo sguardo verso di lui, invocarlo perché lui è il Signore della vita che è risorto da morte, lui può operare dove noi siamo impotenti, lui può portare vita e salvezza dove per noi non c’è più via di uscita.
Gino Strada più laicamente diceva “dare gambe alle utopie”, cercare di dare concretezza ai nostri ideali, credere che le cose grandi si possono avverare.
Anche con chi amiamo, con chi è caro al nostro cuore a volte ci sentiamo impotenti nel fare il suo vero bene, nel volerlo sollevare, aiutare, consolare, e alla fine non ci resta, non come ultima spiaggia ma come gesto di amore, che affidarlo/la al Signore che sa qual è il vero bene e può toccare il suo cuore.
La nostra impotenza allora può diventare strada per la potenza del Signore, la nostra fragilità strada per il nostro abbandonarci a lui, la nostra miseria strada per la ricchezza che viene dall’alto, la nostra spogliazione strada per una comunione più profonda perché affida l’altro alle mani grandi e forti del Signore.
L’opera è credere (cf. Gv 6,29), non venire meno nella fede nel Signore che è venuto, viene e verrà a sanarci e a salvarci.
“Quando sono debole è allora che sono forte” (2Cor12,10): questa la vera beatitudine del credente.
“A colui che può operare in tutto
molto più di quanto chiediamo o pensiamo
a lui la gloria nella chiesa e in Cristo Gesù
per tutte le generazioni e per sempre!” (Ef 3,20).
“Io grido a Dio, l’Altissimo
a Dio che porta a compimento ogni cosa per me” (Sal 57,3).
sorella Roberta
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