Siamo alla fine del discorso in parabole, similitudini con le quali in Matteo si tratteggia il regno dei cieli, il regnare di Dio, il suo modo di reggere il mondo e assicurargli vita.
All’ultima parabola della rete potremmo dire che segue ancora una similitudine: “Ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche” (v. 52).
L’immagine può riferirsi all’evangelista stesso, competente scriba, padrone di casa a suo agio nelle Scritture di Israele, attento però al loro compiersi in Cristo, capace di rileggere ciò che è antico alla luce della novità portata da Gesù, e così di ridare vita alle cose antiche grazie alle nuove, che non a caso qui vengono prima.
L’immagine tuttavia può anche riferirsi a ciascun lettore che si lasci istruire dal Regno, che cioè, indipendentemente dal suo grado di conoscenza biblica, sappia far tesoro di ciò che le Scritture gli rivelano della sua vita e di ciò che la sua vita lo conduce a comprendere delle Scritture.
C’è davvero da far tesoro di ogni esperienza, lasciandosi istruire sin d’ora anche “dal pianto e dallo stridore di denti” (cf. v. 50) per le occasioni mancate o sprecate, l’ostinato rifiuto, lo sterile ripiegarsi su di sé… imparando a situare ogni cosa nell’orizzonte ampio del Regno, in dialogo con Cristo, perché non è detto che da soli si sappia farne tesoro nel modo giusto: “L’uomo buono dal suo buon tesoro trae fuori cose buone, mentre l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori cose cattive” (Mt 12,35).
È essenziale imparare a leggere alla luce della Parola ciò che mettiamo via nel nostro cuore e determina il nostro agire buono o cattivo, perché viene il giorno che lo rivela. A questo proposito la parabola della rete (come quella del grano e della zizzania) è molto chiara. La scena, che Gesù propone proprio “in riva al mare” (Mt 13,1), evocava un’attività comune: la selezione dei pesci dopo la pesca. Ma è per dire che la separazione avverrà alla fine del mondo e non sarà opera nostra.
Non possiamo essere noi ora a selezionare le persone, non dobbiamo cedere a discriminazioni che le condannino a restare per sempre definite da ciò che hanno fatto, come non lo vorremmo per noi. Sarebbe negare la nostra identità che è sempre più grande, sempre in possibile evoluzione nell’orizzonte del Regno. Lì, se è Dio a regnare, il giudizio ultimo spetta a lui solo.
Affermare questo non è però abdicare a ogni forma di giudizio. Non siamo noi a giudicare – grazie a Dio! –, ciò nonostante siamo chiamati – da Dio stesso, attraverso le Scritture – a esercitarci in un costante discernimento.
Perché tutto ciò che Dio ha creato è buono (cf. Gen 1), ma tutto può essere usato male, senza discernimento, e diventare cattivo. Sicché in noi, nella chiesa, nel mondo “pesci di ogni genere” (v. 47) si muovono incontro alla rete del Regno. Il Signore, in un’altra parabola, ci conferma che il suo invito rimane rivolto a tutti, “cattivi e buoni” (Mt 22,10). Per avanzare verso il Regno sulla via della beatitudine, facciamo tesoro della consapevolezza così espressa dal salmo che apre il salterio con la parola “Beato!”:
Non così, non così i malvagi,
ma come pula che il vento disperde …
il Signore veglia sul cammino dei giusti,
mentre la via dei malvagi si perderà (Sal 1,4.6).
fratel Fabio
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