Che strano racconto!
Che strano racconto! Sembra una favola popolare e istintivamente la relegheremmo nei vangeli apocrifi e invece figura in tutti e tre i vangeli sinottici. Che cosa ha da dirci questo strano testo ricco di dettagli paradossali?
Ci troviamo in un territorio pagano e dunque impuro, in un luogo dimora di morti, un cimitero. C’è un uomo senza nome, definito solo come “posseduto da uno spirito impuro”; vive dove non c’è più vita, è un disperato, uno dei tanti disperati che hanno abitato e abitano la nostra terra. Tommaso d’Aquino spiegava il termine latino desperatio collegandolo a pes, piede; è il venir meno del piede lungo il cammino, non si ha più la forza di andare avanti. Quest’uomo sa di aver bisogno dell’aiuto degli altri e contemporaneamente li teme come minaccia. Del resto ha già sperimentato quale aiuto sanno dargli gli altri; forse benintenzionati, per cercare di impedirgli di fare e di farsi del male, hanno tentato di legarlo con ceppi e catene, ma non hanno tentato di ascoltare il suo grido, un urlo che si leva giorno e notte.
L’urlo dei sofferenti dà fastidio e si cerca di emarginarli. Il malato è arrivato a un grado di disumanizzazione totale, di disintegrazione; non riesce più a parlare a nome proprio, a dire “io”; rigettato dagli altri, non riesce a volersi bene, fa del male a se stesso. Corre da Gesù e ci aspetteremmo che gli chiedesse la guarigione, e invece, come tutti noi, vuole e non vuole essere guarito; invoca e respinge chi lo potrebbe aiutare; è prigioniero e complice del suo male. È la contraddizione che ci abita! “Non tormentarmi!”: sembra sapere che la liberazione da qualsiasi forma di schiavitù ha sempre un prezzo, perché non è facile guardare in faccia e leggere gli impulsi autodistruttivi che abitano in noi. Ma Gesù sa ascoltare, sa cogliere il desiderio profondo di quell’uomo. “Qual è il tuo nome?”, “Tu chi sei?”; e il malato narra la sua lacerazione interiore, i molti demoni che lo abitano. Agli spiriti impuri che ha fatto uscire dal malato Gesù permette di entrare in una mandria di maiali che si getteranno nel mare, luogo di morte, luogo del loro annientamento definitivo.
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Nella scena finale l’uomo è seduto, vestito, in pieno possesso di sé. Ma il buon senso e la normalità non sono la finale del racconto. Gesù ha sconvolto il “disordine costituito” in cui è chiaro chi è sano e chi è malato, chi è dentro e chi è fuori, chi deve essere emarginato perché non si adatta alla vita cosiddetta normale. E la gente accorsa a vedere l’accaduto vorrebbe che tutto rientrasse in quel “disordine costituito”, nella normalità presentata come ragionevole, per la quale tutto ciò che si manifesta come un po’ diverso va messo in ceppi e catene. Gesù ha dato un insegnamento nuovo con autorità (cf. Mc 1,21-28); l’insegnamento nuovo è la liberazione dell’uomo, anche al di fuori dei confini della terra di Israele, un insegnamento dato con “autorità che autorizza, cioè, che rende autore della propria vita colui che era dilaniato da uno spirito impuro” (Y. Redalié). Quell’uomo
non ha più bisogno di difendere la propria libertà standosene ai margini e sentendosi in colpa perché non si adegua al pensiero comune. Gesù non gli permette di seguirlo fisicamente, vuole che prenda in mano la propria vita e racconti quello che ha vissuto. Alla fine sarà Gesù costretto ad allontanarsi; ha creato trambusto e danni, ha messo in discussione quella pace falsa.
sorella Lisa
Per gentile concessione del Monastero di Bose
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