Brano densissimo, un tutto nel frammento.
Dopo l’annuncio del vangelo in parabole, Gesù ordina ai discepoli di passare all’altra riva del lago, abitata da genti pagane: vuole che la buona notizia arrivi a tutti. I discepoli devono seguirlo, navigando nella notte. “Lo presero con sé, così com’era, nella barca”, la barca della chiesa. Di solito è Gesù a fare questo con i discepoli. Qui invece è commovente notare che sono loro a prendere Gesù affaticato per la giornata di predicazione: umanità di Gesù, sua debolezza mortale. Egli, stanco, si addormenta. Ed ecco che “ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca” (v. 37). Andate a rileggere il salmo 107 (vv. 25-27)… E Gesù? “A poppa, sul cuscino, dormiva” (v. 38): pare inverosimile, ma esprime la stanchezza di Gesù e il suo abbandono confidente nel Padre.
Impauriti, i discepoli svegliano Gesù: sonno e risveglio, morte e resurrezione. Si rivolgono a lui stizziti: “Maestro, non t’importa che siamo perduti?” (v. 38). Luca attutisce (“Maestro, maestro, siamo perduti!”, Lc 8,24), Matteo trasforma in preghiera dal sapore liturgico (“Salvaci, Signore, siamo perduti!”, Mt 8,25). Marco invece, più “secco”, ritrae la reazione storica dei discepoli: accusano Gesù, quasi che non fosse anch’egli “sulla stessa barca”. Non comprendono che la grande rivelazione è proprio il suo stare con loro: non è altrove, ma condivide la nostra precarietà e angoscia. Il suo sonno nella tempesta è sacramento della debolezza salvifica di Dio, della sapiente stoltezza della croce (cf. 1Cor 1,18-25).
Proprio nella debolezza inerme di quell’uomo che dorme, appare all’improvviso la potenza di Dio: Gesù si desta e intima al vento e al mare di placarsi. Alla lettera, “minaccia” gli agenti atmosferici, come minacciava gli spiriti impuri. Questo versetto, che ricorda ancora una volta il salmo 107 (vv. 28-30), è davvero una teofania: Gesù ha la stessa autorità di Dio, il suo gesto prefigura la potenza del Risorto, in piedi e vincitore sulla morte. Gesto e parola efficaci contengono la logica dell’incarnazione e del mistero pasquale: nell’umanità debole e mortale di Gesù si manifesta la potenza di Dio, più forte della morte!
Ed eccoci al vertice della nostra pagina, la domanda di Gesù: “Perché avete paura? Non avete ancora fede?” (v. 40). Sempre la paura è legata alla “mancanza di fede”: nella potenza di Gesù che cammina sulle acque (cf. Mc 6,49-50); quale durezza di cuore di fronte all’annuncio della sua passione, morte e resurrezione (cf. Mc 9,31-32; 10,32-34). Matteo preferisce parlare di “poca fede”: “Perché siete paurosi, uomini di poca fede?” (Mt 8,26).
Mancanza di fede o poca fede che dir si voglia sono sempre legate alla paura. Ma come la potenza di Dio appare nella debolezza di Gesù, che dorme impotente in mezzo alla tempesta, anche la nostra fede non va vissuta nonostante la debolezza, ma nella debolezza e nel dubbio. Non però nella paura. Non dobbiamo dunque preoccuparci di nulla, se non di rispondere con la nostra vita alla domanda seria posta da Gesù: “Perché avete paura? Non avete ancora fede?”. Ci sia dato, almeno, di fare nostre le parole del padre del ragazzo epilettico: “Credo, Signore, ma tu vieni in aiuto alla mia incredulità!” (Mc 9,22-24).
fratel Ludwig
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