Nella pericope letta e commentata sabato scorso abbiamo ascoltato come Gesù abbia calmato il lago in tempesta semplicemente minacciando il vento impetuoso che lo stava agitando, esibendo davanti ai suoi discepoli un potere super-umano.
Anche oggi leggiamo che Gesù opera un prodigio inaudito utilizzando semplicemente la parola, una parola piena di autorità e di potenza. Anche in questo caso Gesù intima a uno spirito (qualcosa di simile a un vento gagliardo) di placarsi, di smettere di portare agitazione, squilibrio. Si tratta di uno spirito impuro che agita e sovverte l’equilibrio e la pace di un essere umano creato a immagine e somiglianza del Creatore; uno spirito che si manifesta come una legione di passioni che conducono alla morte, all’autodistruzione, alla rottura della comunione con gli altri esseri umani.
Gesù viene a riportare equilibrio nella creazione, viene a riportare il creato all’idea che il Creatore si era fatto di esso al momento di metterlo alla luce. Viene a riportare la calma, a togliere l’agitazione. E lo fa con potenza, ma una potenza quieta, mite: con una mitissima potenza compie un’opera di liberazione.
E questo è molto interessante: Gesù non combatte il male con le armi del male, non risponde alla violenza con la violenza; al limite lascia che il male si faccia male da sé: “Gli spiriti impuri, dopo essere usciti, entrarono nei porci e la mandria si precipitò giù dalla rupe nel mare; erano circa duemila e affogarono nel mare” (v. 13). Non riporta la calma, la quiete dell’“in-principio”, utilizzando la violenza, perché la violenza non fa altro che aumentare l’agitazione. Gesù non è come uno dei potenti di questo mondo che pensano di fermare le guerre, le violenze, attraverso altre guerre, altre violenze. Gesù placa l’agitazione del lago, l’agitazione di quest’uomo, con la determinatissima mitezza della sua parola. Questo è molto divino, non c’è dubbio.
Uno potrebbe dire: “Facile per Dio esibire una potenza mite, un’autorità quieta capace di operare prodigi!”. Diciamo: “Onnipotente nell’amore”; e pensiamo: “Già!, comunque ‘onnipotente’”… Però Gesù questa stessa mite potenza l’ha esibita sulla croce, allorché ha rinunciato a scendere da essa e salvare se stesso, ovvero rinunciando a chiamare in proprio soccorso le dodici legioni di angeli sulle quali pure poteva contare. Gesù rinuncia a salvare se stesso per salvare gli altri. Insomma, non dobbiamo dimenticarci che la mite autorità di Gesù non è a basso prezzo, è sempre a prezzo della sua vita.
Questo vale anche per il Santo – sempre sia benedetto -, il quale, se così si può dire, ha creato ogni cosa rinunciando a una parte di sé, acconsentendo, in un certo senso, a perdere parte della propria divina solitudine, forse anche a perdere parte della propria onnipotenza, creando un’alterità di fronte a sé dotata di volontà propria, di libertà di scelta. Il nostro Dio non è il capo assoluto di un regime totalitario, lo chiamiamo “Padre” perché è l’origine della vita.
È per narrarci la libertà che il Padre offre alle sue creature che Gesù evita di legare a sé l’uomo che ha appena liberato dal caos della legione di demoni: “Va’ nella tua casa, dai tuoi, annuncia loro ciò che il Signore ti ha fatto e la misericordia che ha avuto per te” (v. 19). Non ne fa un terreno di conquista: come il Padre ci ha creati per la libertà, così il Figlio opera la nostra liberazione rinviandoci alla verità della nostra vita.
fratel Stefano
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