Piccola grande fede
Forse a volte ci si stupisce, magari con una certa dose di rimprovero non esplicitamente formulato nelle nostre menti, di quella che Gesù chiama, rimproverandolo, lui sì, la “piccola fede” di Pietro, ci si meraviglia che Pietro non abbia creduto a sufficienza in Gesù, gli si rimprovera il fatto che a un certo punto, nell’infierire del vento tempestoso e delle onde che sembravano sommergerlo, egli abbia avuto paura; eppure, forse, non dovremmo rimproverarlo più di tanto, perché dovremmo chiederci se noi avremmo avuto quella pur “piccola” fede: avremmo noi avuto l’audacia e la fede di dire a Gesù, in quella situazione critica, in un mare in tempesta: “Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque”, osando avventurarci, solo sulla parola di colui che appariva uno sconosciuto (“se sei tu”, dice Pietro, senza alcuna certezza che sia proprio Gesù e con l’unica dimostrazione, a posteriori, che colui che sembrava un fantasma fosse invece Gesù offerta dal fatto che Pietro non sarebbe affogato), osando avventurarci, dunque, fuori dalla barca?
Quella pur “piccola” fede di Pietro forse era già una grande fede. Grande fede che pure non ci preserva, come non ha preservato Pietro, dalla tentazione, dal dubbio, dalla paura che sopravviene nel momento della prova, grande fede che pur non ci preserva dalla difficoltà in cui ci sembra di soccombere, difficoltà in cui quella che fino a quel momento ci poteva sembrare una chiara e magari anche lucida evidenza viene meno e non sembra più tale, difficoltà in cui i punti di riferimento fino ad allora reperibili paiono scomparire dal nostro orizzonte, difficoltà in cui anche le forze che fino a quel momento parevano sostenerci e su cui ci veniva di appoggiarci per assicurare la nostra perseveranza e fedeltà futura sembrano venire meno e non essere sufficienti neanche per farci stare in piedi nel momento presente.
Forse questo momento di difficoltà è quello che Gesù definisce l’“entrare in tentazione”, momento, come fu quello della passione e morte in croce di Gesù, al quale egli stesso esortò i discepoli a prepararsi, per non soccombere, mediante la veglia e la preghiera (cf. Mt 26,41), momento dal quale esorta i discepoli a guardarsi e nei confronti del quale li ammonisce a chiedere nella preghiera al Padre di preservarli, di non farli “entrare in tentazione” (Mt 6,13), nel dominio della tentazione su di loro, quando il discepolo si ritrova come senza difese di fronte al male che lo tenta, di fronte alla tempesta che lo assale con una violenza che sembra travolgerlo.
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Pietro e la comunità dei discepoli, dunque, nella storia non sono preservati da tale prova e tentazioni, da tempeste di ogni genere, ma a loro viene annunciata la buona notizia che possono fidarsi di Gesù: “Coraggio, sono io, non temete!” (v. 27), e la sua presenza accanto e nella sua comunità in mezzo al mare in tempesta è l’unica sicurezza che il discepolo e la chiesa devono cercare, l’unica sicurezza su cui devono fare affidamento, perché l’unica forza che, nonostante tutte le apparenze a volte contrarie, può tenerli in piedi. Ma di fronte a tale invito lasciamoci anche noi interrogare dalle parole di Gesù a Pietro: “Perché dubiti?”
sorella Cecilia
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