Monastero di Bose – Commento al Vangelo del giorno – 29 Giugno 2022

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Donare identità

“Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (v. 16), “Tu sei Pietro” (v. 18). È un reciproco chiamarsi per nome ciò che avviene tra Gesù e Pietro, un riconoscere l’uno l’identità profonda dell’altro. È questo ciò che può avvenire a ogni discepolo che si pone alla sequela di Gesù: essere riconosciuto nella sua identità più profonda e ricevere da questo sguardo di amore, che dona spessore e profondità, un nome nuovo.

Sono lontani Gesù e i suoi discepoli, lontani dal centro religioso di Gerusalemme, lontani dalla città in cui la religione è fissata in formule e definizioni già date. E da lontano parte Gesù nel porre la domanda: “La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo” (v. 13). Terreno comodo per i discepoli, anche per chi non è ancora arrivato in profondità a conoscere l’identità di quel Gesù del quale sta seguendo i passi. Facile quindi riportare frasi fatte, pareri condivisi e non approfondire invece ciò in cui essi credono. 

I discepoli però vivono con lui, hanno l’esperienza di vita, una frequentazione, un ascolto. Questo vissuto a che verità li conduce? Gesù non lascia i suoi discepoli nel limbo del sentire comune, non ci lascia nel comodo terreno di una vita superficiale, senza radici profonde, senza una direzione e un senso. Ci richiama continuamente a ridire e a ridirci chi stiamo seguendo, cosa stiamo perseguendo. “Ma voi, chi dite che io sia?” (v. 15). È una domanda che spaventa. Può rivelarci che abbiamo smarrito il senso, l’orientamento, che abbiamo sostituito quel nome e quel volto con ideali destinati a perdere consistenza, con illusioni e labili e personali progetti. Gesù conosce il cuore degli uomini e sa quanto sia facile sostituire il suo volto e la sua parola potente con volti e parole passeggeri e fragili. E così pone la domanda, continuamente, a ciascuno e ciascuna personalmente, lungo la strada. Non cerca definizioni, o professioni di fede solenni, cerca la parola d’amore, il riconoscimento.

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E Pietro, di cui oggi facciamo memoria, si lascia pungolare, abbandona il già noto, prende distanza da ciò che “alcuni dicono”. È lui che dice Gesù nella sua identità. Gesù che non è all’interno di identità già date, di personaggi del passato – Giovanni Battista, Elia, Geremia –, ma è il “Figlio del Dio vivente” (v. 16). L’atto di fede di Pietro dice la straripante azione di Dio nella storia: “né carne, né sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli” (v. 17). 

Pietro lascia che la novità rivelata da Dio in Gesù irrompa e la proclama, e così si apre anche la possibilità di essere, a sua volta, rivelato a sé stesso. Si riceve la propria identità se si è disposti ad abbandonare le sicurezze antiche, le certezze, se ci si mette in un atteggiamento di ricerca, se ci si lascia interrogare e si prende il rischio della risposta.

Pietro riceve in dono un nome nuovo, che è anche consegna, vocazione. Come Gesù, anche ciascuno di noi ha bisogno di essere riconosciuto nella sua umanità e nella sua verità. E questa identità ciascuno di noi la può ricevere e a essa può dare forma e contenuto solo grazie alla relazione con l’altro, solo grazie allo sguardo dell’altro. “Simone, figlio di Giona” (v. 17) è “beato” perché ha fatto spazio al dono che Gesù è nelle nostre vite, e con questo dono riceve anche la sua identità più profonda, quella di essere “Pietro”, roccia, stabile fondamento, condizione di stabilità anche per i fratelli e le sorelle.

sorella Elisa


Fonte

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