È dalla metà del IV secolo che la chiesa di Roma celebra a questa data la festa di Pietro, suo primo vescovo, assieme a Paolo, cittadino romano di Tarso. Nella celebrazione non accosta Pietro ad Andrea, suo fratello di carne e sangue, il primo chiamato, colui che condusse il fratello Simone da Gesù, presentandoglielo come il Messia. Non accomuna Pietro a Giovanni, il discepolo amato che al termine di una corsa incredula lo lasciò entrare per primo nel sepolcro vuoto in quel mattino di Pasqua. Né Pietro è accostato a Giacomo, il fratello di Giovanni, il co-testimone della Trasfigurazione e di tanti segni compiuti da Gesù, il primo tra gli apostoli a subire il martirio, proprio nei giorni in cui Pietro veniva arrestato a Gerusalemme.
No, la chiesa di Roma – quella che Ignazio, un altro vescovo che subirà il martirio nella capitale dell’impero, aveva definito “la chiesa che presiede nella carità” – onora come sue colonne Pietro e Paolo, due discepoli molto diversi tra di loro per condizione, formazione, sensibilità, legami con il Gesù storico, orizzonti di missione… Ma due seguaci di Cristo che, dando la propria vita fino a morire, hanno testimoniato il primato della carità.
Pietro e Paolo con la loro vita, la loro predicazione e la loro morte hanno risposto con una sola voce a quella domanda che Pietro e gli altri undici si erano sentiti rivolgere da Gesù a Cesarea di Filippo e che sentiamo risuonare nel vangelo odierno: “Ma voi, chi dite che io sia?” (v. 15). Una domanda che potremmo accostare a quella speculare che Saulo rivolge a Gesù, rivelatosi a lui nel fulgore di una luce accecante: “Chi sei, o Signore?” (At 22,8). Pietro confessa il Messia a nome e a fondamento della comunità dei dodici, a Saulo il Signore si rivela nel corpo della comunità dei discepoli che il fariseo di Tarso perseguita.
“Chi dite che io sia? Chi sei Signore?”: è la duplice domanda che risuona ancora oggi non solo per chi presiede una comunità o una chiesa, con il compito di custodirla nell’unità; non solo per chi predica il Vangelo mosso dalla sollecitudine per tutte le chiese; non solo per chi ha ricevuto il potere di sciogliere e di legare, cioè di annunciare la misericordia e di affermare il vincolo della carità che ci lega gli uni agli altri e tutti insieme all’unico Signore.
La duplice domanda risuona anche per ciascuno e ciascuna di noi e per ogni comunità nel suo insieme: “Voi, le vostre vite, il vostro pensare, parlare e agire, chi narrano che sia il Figlio dell’uomo?”. Quale volto e quale nome diamo a quella luce accecante che trasforma un manipolo di discepoli perseguitati in corpo e sangue del Signore? Su quali tracce lasciate da Gesù orientiamo i nostri passi e il cammino della nostra carovana?
L’amaro pentimento di Pietro e lo sconvolgente ripensamento di Paolo sono la dinamica quotidiana della nostra sequela, così come il perdono e la misericordia del Signore sono l’anticipo della beatitudine senza fine cui siamo chiamati.
fratel Guido
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