Gesù oggi ci racconta una parabola che nel tempo in cui lui è vissuto evocava immediatamente un’immagine quotidiana, mentre noi abbiamo mai visto un seminatore che esce a seminare? Non è più per noi una figura reale, ma che immaginiamo. La prima azione di questo seminatore è uscire, mettersi in movimento, mettersi in cammino e la prima cosa che sorprende è che, o è un seminatore distratto che non guarda dove cade il seme, sulla strada, sui sassi, tra le spine, o è un seminatore così generoso col suo seme che spera nasca anche sulla strada, sui sassi, tra le spine. Questo seminatore non sceglie prima il terreno dove gettare il suo seme, esce e comincia a spargerlo attorno a sé.
Il racconto è chiaro, perché continua anche con la spiegazione della parabola che specifica quali siano i vari terreni che Gesù racconta: la strada è il luogo meno custodito e il seme, la parola, viene portata via dal nemico; i sassi non permettono di mettere radici e il seme, la parola, non sa resistere alle intemperie; le spine non lasciano spazio al seme, alla parola, e lo soffocano, non lo lasciano crescere; il terreno buono è il solo che lascia spazio e tempo al seme, alla parola, per portare frutto.
Ciascuno di noi si può identificare in questi diversi terreni, nel nostro cuore sono contenuti tutti questi terreni. Noi ascoltiamo la Parola e in una parte di noi resta in superficie, le preoccupazioni non permettono che trovi spazio in noi, resta una parola ascoltata, ma che non entra nel nostro cuore, che non sostiene e cambia la nostra vita. Come far sì che la Parola possa germinare dentro di noi?
Tra il racconto della parabola e la sua spiegazione ci sono alcuni versetti, per me tra i più duri dell’evangelo: la Parola può essere annunciata, ma può esserci un cuore che resta indurito, che resta una terra dura, senz’acqua (cf. Sal 63,2) che non può portare frutti di conversione. Certo Gesù parla di quelli di fuori, ma noi siamo così sicuri di essere quelli di dentro? Certo è un grande monito per tutti noi! Possiamo ascoltare la Parola, addirittura annunciarla agli altri, ma non lasciarci toccare e cambiare da questa parola; quale vigilanza, quale cura, quale umiltà, ci vengono chieste per far sì che la Parola del Signore non sia una parola vuota e vana per noi!
Mi abita questa domanda: l’evangelo cambia veramente la mia vita?
Qual è il frutto di conversione che essa può produrre in noi? Credo che il frutto sia l’amore per i nemici (cf. Mt 5,44), è questo l’assurdo che la Parola ci chiede e vorrebbe far crescere in noi: ma noi permettiamo e accettiamo questo?
L’amore che nasce istintivo dentro di noi deve essere lavorato dalla Parola perché possa essere un amore largo, che va oltre al sentimento e guarda l’altro attraverso lo sguardo di Dio che fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui giusti (cf. Mt 5,45). Questo il frutto da invocare, questo il frutto da lasciar crescere.
Il Signore renda il nostro cuore un terreno coltivabile, dove lui possa arare, possa irrigare (cf. Sal 65,10-12), perché il seme che lui pone dentro di noi possa spuntare dal terreno, crescere, fiorire e diventare spiga, pane per molti.
sorella Roberta
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