Monastero di Bose – Commento al Vangelo del giorno – 29 Febbraio 2020

Il vangelo che abbiamo ascoltato rimanda con forza a due notissime opere d’arte, che ormai fanno parte dell’immaginario collettivo: la “Vocazione di Matteo” di Caravaggio in San Luigi dei Francesi a Roma (quella mano potente, creatrice e ri-creatrice, di Cristo che fissa Matteo, e quella grande finestra di legno sbrecciato sulla parete oscura, simbolo del quotidiano povero e quasi non dicibile), e la “Cena in casa di Levi” di Paolo Veronese alle Gallerie dell’Accademia di Venezia, un grandioso dipinto, tripudio di umanità variopinta e festante, stagliata prospetticamente su un cielo azzurro, di una luminosità in cui alba e tramonto si confondono e si rincorrono senza sosta in un’unica ebbrezza di vivere, opera di una libertà così offensiva da finire davanti all’Inquisizione.

Questi versetti così ispiranti sono, non a caso, una sintesi pratica della vita cristiana, e si strutturano in cinque punti:

  1.  Il rapporto personale con il Signore anzitutto: indicibile, sta nella storia e nel cuore profondo di ciascuno di noi, come una memoria pulsante e vitale, se non la seppelliamo sotto tanti detriti: “Vide (ma sarebbe più calzante “contemplò”) … di nome Levi … e gli disse: ‘Segui me!’ … lo seguì” (vv. 27-28). Non si dirà mai abbastanza: il rapporto personale con il Signore, sottolineato dai tanti pronomi di prima e seconda persona singolare, è la cosa più essenziale senza la quale non vi è (più) vita cristiana, senza la quale non è possibile lasciare tutto, in ultima analisi tutti i pesi e le schiavitù, oggi, domani e fino alla fine, ed essere finalmente liberi, quei “quattro giorni” che siamo sulla terra. “Qual è la cosa più importante?”, chiesero alcuni novizi della nostra comunità all’abate Christodoulos del monastero di Koutloumoussiou sul Monte Athos; ed egli e rispose: “Non dimenticate mai l’amore del Signore che ardeva nel vostro cuore nell’ora in cui entraste in comunità”.
  2.  Il rapporto con gli altri, tutti gli altri: la relazione personale con il Signore non schiaccia, ma dilata verso la vita piena, libera le capacità vitali, l’amicizia, la festa, la celebrazione della vita, che ha sempre bisogno di un riferimento personale (“gli preparò … nella sua casa”: v. 29), non è mai indifferenziata e anonima: ecco allora il banchetto, e un banchetto, si sottolinea, “grande”, perché frutto di grandezza di cuore, di mente, di visione.
  3.  Il dubbio, la mormorazione: “Come mai …?” (v. 30). Anche questa è una tappa obbligata, e dobbiamo attrezzarci, una specie di re Mida al contrario: là dove tocca inabissa, oscura, macchia, perverte, inocula la morte dove c’era la vita.
  4.  Accettarsi come malati e peccatori: non perché lo si è capito (quasi impossibile!) e lo si è ammesso, ma perché constatiamo che lo siamo: “Sii vero con chi tu sei”, ho letto un giorno. Facile a dirsi, difficile a realizzarsi, a meno che, a un certo punto, non ci abbandoniamo, ci affidiamo.
  5. La conversione: “…perché si convertano” (v. 32). Non penso a improbabili cambiamenti radicali, piuttosto a un andare avanti accogliendo la lezione della vita, a non scoraggiarsi e a evolvere: “Fare silenzio; fare fatica; fare con arte; saper perdere” (Ugo De Censi).

fratel Lino

Fonte

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LEGGI IL BRANO DEL VANGELO DI OGGI

Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori perché si convertano.
Dal Vangelo secondo Luca Lc 5, 27-32 In quel tempo, Gesù vide un pubblicano di nome Levi, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi!». Ed egli, lasciando tutto, si alzò e lo seguì. Poi Levi gli preparò un grande banchetto nella sua casa. C’era una folla numerosa di pubblicani e d’altra gente, che erano con loro a tavola. I farisei e i loro scribi mormoravano e dicevano ai suoi discepoli: «Come mai mangiate e bevete insieme ai pubblicani e ai peccatori?». Gesù rispose loro: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori perché si convertano». Parola del Signore

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