Gesù è uomo di solitudine e di comunione. Nella solitudine, la preghiera lo apre alla comunione con il Padre, per condividerne la volontà e operare discernimento sul cammino.
Gesù, l’inviato dal Padre, l’“apostolo”, avrebbe potuto compiere la sua missione singolarmente, lui solo ci salva, ma ha voluto compiere il suo cammino vivendo la comunione con altri, facendosi realmente loro fratello nella fedeltà fino alla fine. Eccolo quindi legarsi a delle persone ben precise, dei volti, dei nomi con cui condividere le fatiche e le piccole gioie di ogni giorno. Non un amore indistinto, generico ma legato a situazioni concrete che tuttavia nel piccolo, nel limitato possono esprimere l’universale dell’amore.
Dio concentra la sua benedizione su persone particolari perché attraverso di loro possa espandersi sulla terra. Così si è legato ad Abramo, a Mosé, a David, a Maria…
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Questa prima comunità voluta dal Signore comprende persone molto diverse tra loro, unite solo dalla parola del Signore che si è rivolta a loro, li ha raggiunti, ha trasformato le loro vite. Pur essendo particolarmente vicini a Gesù, non sono tuttavia esenti dalla possibilità di raffreddare, abbandonare questo amore che un giorno li ha raggiunti e illuminati.
Notiamo anche che hanno bisogno ancora di un apprendistato accanto a Gesù per essere portatori della buona notizia, del vangelo. Infatti, se la scelta è narrata nel capitolo 6 del Vangelo secondo Luca, dovremo aspettare fino al capitolo 9 perché Gesù li invii veramente ad “annunciare il regno di Dio e guarire gli infermi” (Lc 9,2). Non particolari doti umane ma l’assiduità con la vita e la parola di Gesù li rende portatori di quella speranza che vivifica i cuori.
Noi possiamo così, di generazione in generazione di credenti, essere grati a questi primi fratelli che furono “testimoni oculari fin da principio e divennero ministri della Parola” (Lc 1,2), coloro che ci trasmettono il nucleo della nostra fede, ovvero “che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture e che apparve a Cefa e quindi ai dodici” (1Cor 15,3-5).
Gli apostoli sono i testimoni della resurrezione che danno solidità alla nostra fede. Così oggi la chiesa ci porta a riconoscere due di questi apostoli: Simone lo Zelota e Giuda di Giacomo (detto anche Taddeo).
Simone detto “zelota” come coloro che combattevano con violenza contro l’oppressione romana che rendeva in schiavitù Israele. Simone troverà, in quel rabbi povero e perseguitato, il Messia che ci libera dal male e dalla morte. Giuda di Giacomo, secondo quanto ci dice l’evangelista Giovanni, durante l’ultima cena, riceverà da Gesù la rivelazione: “Se uno mi ama osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” (Gv 14,23).
Nella descrizione simbolica della nuova Gerusalemme le mura della città santa poggiano su dodici basamenti, sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli dell’Agnello.
fratel Domenico
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