Non una fine ma un inizio
Il testo del vangelo di oggi è l’inizio del cosiddetto “discorso escatologico”, pronunciato da Gesù appena prima della sua passione, a Gerusalemme, dopo il suo ingresso nella città santa e nel tempio. Sono parole che descrivono situazioni di difficoltà e tragiche per i discepoli, per la città, per il popolo di Israele e i suoi capi. Calzano bene per i nostri tempi in cui giorno dopo giorno sperimentiamo il manifestarsi del male, della sofferenza, della violenza e allo stesso tempo constatiamo e patiamo l’impotenza del nostro fare e l’incapacità di comprendere, capire, immaginare una via di uscita.
Le parole del vangelo, a loro modo, cercano di educare il nostro sguardo alla realtà, ad andare più in profondità senza fermarci all’apparenza, a ciò che immediatamente balza agli occhi e si fa sentire alle nostre orecchie. E lo fanno attraverso il Signore Gesù, che con pazienza parla, spiega, racconta parabole, ci fa camminare con lui che veramente è “Luce del mondo”.
Di fronte alle parole dei discepoli che “vedono” ammaliati lo splendore del tempio sprona a pensare in maniera diversa… Certamente c’è un riferimento alla storia, all’evento tragico della distruzione del tempio ad opera dei romani, ma più in profondità, rievocando le pietre del tempio, Gesù rimanda al suo insegnamento precedente: alla parabola dei vignaioli omicidi in cui ha annunciato “la pietra scartata è divenuta testata d’angolo” (Lc 20,17). Oltre al tempio come edificio c’è il riferimento al “tempio che è il suo corpo” che “sarà distrutto e ricostruito in tre giorni” (Mc 14.58).
- Pubblicità -
Gesù invita a leggere la realtà attraverso la sua persona e la sua storia: lui è il Signore, l’”io sono” che designava il Dio d’Israele: lui stesso è il compimento del tempo, il “kairos” (Lc 21,8) che chiede di essere seguito. Non altri, non altro! “Non andate dietro a loro”, dice con forza. E lo dice ai discepoli che cercano di sapere il quando e i segni di quanto Gesù ha annunciato.
Le parole sono ostiche: guerre, rivoluzioni, regni contro, terremoti, carestie, pestilenze, fatti terrificanti, segni grandiosi. Eppure di fronte a ciò Gesù ripete che non è la fine: non è questa la sorte della storia degli uomini. In filigrana c’è la sua passione con i segni che la accompagnano e sono quasi esattamente quelli evocati. Ma appunto, non è “subito la fine” (Lc 21,9).
La fine vera è successiva, dopo questi avvenimenti. La fine vera è la morte di Gesù in croce: questo il vero segno che riassume e ingloba tutti gli altri e diventa segno che vince ogni morte. La croce non è fine ma inizio della vita ed è questo che il vangelo non smette mai di dire e ridire.
- Pubblicità -
A noi l’impegno di guardare alla realtà custodendo questa speranza nel profondo del cuore, con la fede che c’è sempre una possibilità di fronte all’invalicabilità della realtà, come il passaggio del Mar Rosso nell’Esodo, quel mare-muro insormontabile che si apre al passaggio del Signore e del popolo. La fede “pasquale” significa credere che una Pasqua, un passare oltre è sempre possibile.
“Se viene l’inverno, può essere la primavera lontana?” (P. B. Shelley, Ode al vento occidentale)
fratel Marco
Per gentile concessione del Monastero di Bose
Puoi ricevere il commento al Vangelo del Monastero di Bose quotidianamente cliccando qui