“Perché avete paura, piccoli di fede?”
Nei versetti precedenti l’evangelista ci ha mostrato esempi di persone che vogliono seguire o sono chiamati a seguire il Signore. Qui ancora ci sono i discepoli che seguono in Signore che sale sulla barca per traversare il lago diretto in territorio pagano, fuori dai confini di Israele (la barca è anche immagine della chiesa, della comunità dei credenti), ma vi è come un’opposizione a questo progetto, una forte ostilità, il vento e le acque sembrano guidati da forze nemiche.
“Avvenne un grande sconvolgimento”: la parola usata per “sconvolgimento”, indica anche “terremoto” ed è la stessa usata per descrivere le tribolazioni degli ultimi giorni nel discorso escatologico (Mt 24,7), il terremoto che avviene alla morte di Gesù (Mt 27,54) e il terremoto che sposta la pietra del sepolcro alla resurrezione (Mt 28,2).
Il fatto che seguano il Signore non vuol dire che tutto andrà bene, anzi il cammino della comunità dei credenti è esposto a contrarietà esterne e interne. Non ha esenzioni: è una povera barchetta che avanza a fatica, non corrisponde a quella marcia trionfale che vorremmo assicurata.
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Allora la paura diventa la oscura dominante del sentire dei discepoli anche perché il Signore sembra assente “ma egli dormiva”. Soprattutto questa lontananza avvertita ci fa smarrire: abbiamo speso la nostra vita per Lui – o almeno così pensiamo – ed Egli non ci aiuta, ci lascia soli. Non percepiamo più che il Signore è presente nella nostra lotta. Eppure siamo noi che ci allontaniamo da Lui, quando la “nostra” percezione della realtà diventa più credibile della sua fedeltà.
Ma almeno prima della disperazione, prima dell’indurimento, prima del cinismo ci resta ancora il grido della preghiera “Signore, salvaci!”. “O Dio, vieni in mio aiuto. Affrettati a soccorrermi, o Signore!”.
E il Signore, che non era lontano, si accosta a noi e ci dice: “Perché avete paura, piccoli di fede?”.
Le nostre paure, le nostre letture disperanti della situazione, sono segno della nostra debole, incerta, vacillante fede. La pochezza della nostra fede ci fa dimenticare – ogni volta, come se fosse la prima volta – la fedeltà del Signore. Questa è sempre più vera di ogni nostro sentire.
Non ci resta che aggrapparci alla sua parola vivente e fortificante come al timone della barca e tenere, comunque, senza lasciare la presa.
La tempesta finirà perché il Signore non permette che siamo tentati al di sopra delle nostre capacità e può darci la forza bastante per reggere (cf. 1Cor 10,13).
È interessante guardare i movimenti che appartengono al Signore: il “dormire” che usa gli stessi termini della sua morte e lo “svegliarsi” che usa gli stessi termini della sua resurrezione.
La vita dei credenti è immersa in questo mistero della morte e resurrezione del Signore: solo questo dà stabilità alla povera barchetta della chiesa.
Se il Signore è sulla barca, anche se dorme, la barca non andrà a fondo. Il Signore vuole liberarci dalle nostre paure che ci rendono schiavi, prigionieri, incerti e insicuri. Stare dietro a Lui è cammino di liberazione, anche se dobbiamo attraversare tempeste, poi ci sarà la “grande bonaccia”. La lotta non è senza senso, ci porta alla pace.
fratel Domenico
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