Il sonno del Signore e noi
Gesù è stanco e dorme. Dorme un sonno tanto profondo da non sentire il vento ululare e non percepire l’agitarsi del mare, con le sue onde e i suoi flutti tumultuosi e invadenti.
Dorme Gesù dopo aver lungamente parlato e raccontato il Regno di Dio alle folle che sono affamate di senso e di vita, folle che lo “pressano” … e anche questo stanca, come stanca dover ripetutamente spiegare ai propri discepoli quello che non riescono a capire a causa della durezza e della lentezza dei loro cuori.
Certamente Gesù non spreca il tempo della sua vita, egli lo abita pienamente donandosi continuamente a coloro per i quali è venuto a narrare l’amore del Padre, un amore che non fa riserve di sé.
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Ma per vivere continuamente questo movimento del darsi Gesù ho bisogno di quelle ore, soprattutto al mattino presto, in cui ritirarsi in solitudine a pregare, tempo prezioso d’intimità con il Padre suo (cf. Mc 1,35). E poi ha bisogno anche di tempi di stacco, ore di sonno, dove forse sogna quel Regno da cui viene e a cui un giorno farà ritorno, dopo avercelo raccontato con le parole e con la vita. Così Gesù dorme.
Ma i discepoli attorno a lui sono in affanno, con la loro agitazione lottano contro l’agitarsi del mare, una forza che sovrasta ogni loro capacità e sforzo. Gesù dorme e i discepoli spaventati si agitano finché, finalmente, si ricordano di quella presenza adagiata accanto a loro, silenziosa e dormiente, e sbottano in un grido di lamento e di rimprovero: “Maestro, non t’importa che siamo perduti?”.
Ed ecco ora tutto cambia: quel grido pieno contemporaneamente di impotenza e di affidamento, quel grido che sembra sancire una fine, diventa lo spazio per un altro grido, fatto di un fiato che desta la vita acquietando le forze di morte, fessura attraverso cui le energie di vita irrompono nella fragilità e nella precarietà dei nostri giorni mortali.
Colui che è invocato come maestro si rivela Signore del cielo, della terra, del mare e di quanto contengono; colui che sembrava sprofondato in un sonno insensibile ad ogni pericolo si rivela come colui che sempre (anche quando a noi pare assente e inerte) veglia su di noi; colui che sembrava indifferente alla propria e altrui sorte si rivela come colui che spende tutto sé stesso per donarci la vita vincendo le forze del male e della morte.
E come le vince? Ristabilendo con energia silenzio e calma: “Taci, calmati!”. Il testo dice che questo grido di Gesù è rivolto al vento e al mare ma forse questa esortazione e anche per i suoi discepoli (e noi con loro) perché imparino a confidare nel Signore, a credere alla sua presenza attiva accanto a loro, a non agitarsi oltre misura ma, nel pericolo e nella prova, a sapersi rivolgere a lui perché, anche se sembra addormentato, egli sempre si desta per salvarci e donarci la vita (anche quando, forse, avrebbe voluto riposarsi ancora un po’!).
Ricordiamoci delle parole del Signore in Isaia 30,15: “Nella conversione e nella calma sta la vostra salvezza, nell’abbandono confidente sta la vostra forza”, e impariamo a non temere nulla perché il Signore è con noi, sempre.
sorella Ilaria
Per gentile concessione del Monastero di Bose
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