Monastero di Bose – Commento al Vangelo del giorno – 27 Settembre 2023

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Come agnelli in mezzo ai lupi

“Gesù di Nazareth è stato un profeta potente in azioni e parole davanti a Dio e davanti a tutto il popolo” (Lc 24,19): così descrivono i discepoli di Emmaus il loro maestro. Egli aveva acceso in loro la speranza che fosse lui il liberatore. Gesù certamente lo è, ma non nel modo come loro se lo avevano immaginato. Per riconoscerlo i discepoli devono giungere alla comprensione del mistero della sua morte e resurrezione.

Chi aveva ascoltato Gesù, chi è stato guarito da lui o era testimone delle sue azioni e parole rimase profondamente toccato da questo incontro – se non era un fariseo, scriba o capo del popolo, chiuso nella propria autoreferenzialità. I discepoli che lo seguivano e in particolare il gruppo più stretto, chiamato “i dodici”, erano diventati testimoni oculari della salvezza in atto, anche se spesso non capivano pienamente.

Ed ecco, un giorno, Gesù riunisce attorno a sé i dodici e dona loro potere e autorità sui demoni e la facoltà di guarire le malattie. Li invia poi ad annunciare il regno di Dio e ad operare delle guarigioni (vv. 1 e 2). Perché a chi soffre non si può annunciare solo in parole una speranza senza toccare allo stesso tempo la sua sofferenza. Gesù, dunque, associa questi discepoli nella sua stessa missione. Fa di loro dei co-attori della sua opera. I dodici diventano apostoli, degli inviati con lo stesso status di colui che li invia. Questi saranno all’altezza della loro missione? Considerano che Gesù è l’Inviato del Padre del cielo e comprendono la loro vocazione?

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Gesù si fa il loro pedagogo e guida per questa missione. Come prima cosa fondamentale chiede loro di farsi poveri, di accettare di vivere nella precarietà, a cominciare con l’accontentarsi del pane quotidiano, senza cercare di averlo assicurato per il domani. Come il popolo d’Israele nel deserto, che ogni mattina poteva raccogliere la manna in quantità sufficiente per quel giorno, senza fare delle riserve per il giorno seguente. Questa povertà è la condizione per imparare a non confidare nei propri mezzi, ma di avere fiducia nel Signore, che si prende cura dei suoi. Inoltre, gli sprona di viaggiare con un bagaglio leggerissimo. A queste indicazioni l’evangelista Luca aggiunge un particolare: l’inviato non prenda con sé un bastone (v. 3).

Un bastone, oltre ad essere un appoggio, è anche un’arma. Forse è per questo aspetto che all’apostolo viene vietato prenderlo. L’apostolo, come Gesù, deve rivestirsi di mitezza, essere “come un agnello in mezzo ai lupi” (Lc 10,3). La povertà dell’inviato deve fare di lui un disarmato, che attende con fiducia solo dal Signore l’aiuto e la difesa. 

Di più, egli è chiamato a presentarsi umilmente davanti a quelli da cui attende di essere accolto, e con rispetto accetta l’ospitalità così come essa gli viene offerta. Se non è accolto – e per un inviato del Signore questo succede, perché l’evangelo per qualcuno è scomodo e irricevibile – egli non rimane a lungo turbato, ma al più presto si libera dai pensieri e sentimenti che rischiano di appesantirlo. Li scuote come la polvere dai piedi e con libertà prosegue il suo cammino per portare dappertutto la benedizione del Signore insieme alla testimonianza della sua fede.

sorella Alice

Per gentile concessione del Monastero di Bose

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