Tre chiari e densissimi versetti che già si affacciano sul tempo di Avvento, ormai alle porte.
“State bene attenti che i vostri cuori non si appesantiscano … vegliate e pregate” (cf. vv. 34.36). Ecco i compiti del cristiano che guarda alla venuta di Cristo nella storia, nella sua storia personale non meno che in quella universale: vigilare sul proprio cuore, opponendo alla tentazione di lasciarlo sprofondare nel sonno i mezzi della veglia e della preghiera, nella consapevolezza che il Signore viene presto (cf. Ap 22,20).
Sì, perché il cuore, luogo biblico per eccellenza, sede della volontà e della capacità di decisione (e non solo del sentimento) corre sempre il rischio di cadere nell’ottundimento e di trascinarci così, nella quotidianità delle nostre decisioni e relazioni, lontani da ciò che è la fonte vitale per noi: la relazione con il Signore.
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Dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita si impossessano del cuore e lo soffocano, come le spine della parabola del seminatore (cf. Lc 8,14), impedendo che il seme della Parola in esso seminato possa crescere e svilupparsi. È il naufragio di una vita…
Ciascuno, quindi, si domandi innanzitutto cosa abita il suo cuore, quali pensieri lo traversano, cosa mette alla fonte delle decisioni che prende: se la paura di non avere abbastanza o la consapevolezza di essere costantemente e amorevolmente custodito dal Signore (cf. Mt 6,25-33); se il desiderio di godimento, incurante di tutto e di tutti o la consapevolezza che il Signore desidera pienezza e bene per tutti (cf. Lc 16,19-31), se la tentazione di vivere alla giornata, in modo superficiale e insignificante o la consapevolezza che il termine (e il fine!) della vita è l’incontro con il Signore (cf. Lc 12,45-48).
Come, allora, mantenere il cuore ben desto?
Innanzitutto, non lasciandosi sorprendere dal “giorno del Signore” (cf. vv. 34-35), ma cercando di vivere ogni giorno nella certezza che il Signore è alle porte, viene per incontrarci, anzi, è già alla porta del nostro cuore, e vi bussa nella speranza che gli apriamo per poterci colmare della sua presenza (cf. Ap 3,20). La tradizione monastica lo esprime bene quando ricorda la necessità di “prospettarsi sempre la possibilità della morte” (Regola di Benedetto 4): invito a vivere l’oggi in pienezza, come se fosse l’oggi dell’incontro con il Signore che tanto abbiamo cercato.
In secondo luogo, restando fedeli a due strumenti che il Signore stesso ci dona: la veglia e la preghiera, ossia dedicando del tempo alla relazione con lui. Allora anche gli eventi più inquietanti (“tutto ciò che deve accadere”, v. 36, riferimento agli eventi catastrofici descritti nei versetti precedenti) perderanno il potere di destabilizzarci, perché ormai sappiamo che mai potranno essere più forti dell’amore che il Signore ha per noi.
È quanto ha sperimentato Gesù, che nelle veglie e nella preghiera (cf. Mc 1,35), nella relazione custodita e coltivata con il Padre ha trovato la forza per affrontare la sua passione, ha trovato la forza di credere più alla follia dell’amore che all’evidenza della morte.
E noi, con la chiesa, ci impegniamo a vivere questo tempo di Avvento invocando, ogni giorno, “Maràna tha, vieni Signore Gesu!” (1Cor 16,22; Ap 22,20).
sorella Annachiara
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