Ottusità
Ogni pagina del Vangelo, compresa la più dura da masticare, è sempre un risveglio della coscienza, un prendere atto del come stanno le cose, una obbedienza al principio della realtà, e del come sono chiamate ad essere, una obbedienza al principio denominato speranza. È in questa ottica che può essere letto il brano evangelico del giorno, non a caso posto tra il racconto della parabola del seminatore (Mt 13,3-9) e la sua spiegazione (Mt 13, 18-23).
Un Gesù che da un lato parla alle folle “di molte cose in parabole” (Mt 13,3), attraverso cioè paragoni che alludono ad altro, nel caso specifico al Regno dei cieli: “Tutte queste cose Gesù disse alle folle con parabole e non parlava ad esse se non con parabole” (Mt 13,34); “Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola…Senza parabole non parlava loro” (Mc 4,33-34).
Un Gesù che d’altro lato “in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa” (Mc 4,34 “Perché a voi è stato dato conoscere i misteri del Regno dei cieli” (Mt 13, 11), del come Dio in Gesù porge all’uomo in maniera ultimativa la possibile riconciliazione con lui nella filialità, con l’uomo nella fraternità-sororità, con il creato nella custodia e con la vita nell’eternità.
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Perché questa disparità? – si domandano i discepoli di Gesù: Gli si avvicinarono allora i discepoli e gli dissero: “Perché a loro parli con parabole?” (Mt 13, 10), perché con loro non prosegui l’approfondimento del messaggio a cui la parabola introduce? Non, ovviamente, per capriccio o partito preso e neppure per motivazioni discriminatorie, voi e loro, ma per una semplice ragione: perdita di tempo.
Il problema, sembra dire Gesù, non è mio e neppure vostro ma è tutto interno a quel tipo di uditori, di cui hanno profetizzato Isaia (cf. Mt 13,14-15=Is 6,9-10) e il salmista (cf. Mt 13,35= Sal 78,2). Gesù sa che la sua persona e la sua parola devono fare i conti con chi lucidamente né li riconosce né li accoglie, uditori superficiali privati dello stesso racconto parabolico: il poco che inizia al molto chi si lascia attrarre; il poco che viene tolto a chi non lo fa fruttare.
Realisticamente Gesù prende atto del fatto che si danno uditori, e possono essere una folla, duri di orecchi, odono ma non comprendono, ciechi di occhi, guardano ma non vedono, gente dal cuore grasso non interessata alla salvezza da lui portata: “Si meravigliava della loro incredulità” (Mc 6,6). A tali ottusi, impermeabili a qualsiasi novità, non c’è sordo più riuscito di chi non vuol sentire, Gesù non nega la sua parabola in riva al mare, ma si nega alla perdita di tempo con chi semplicemente non è interessato a ulteriori approfondimenti. In attesa di tempi migliori.
La cosa ci riguarda da vicino, ci provoca a chiederci se davvero Gesù, la sua parola, il Regno ci stanno a cuore in pubblico e in privato da renderci beati (cf. Mt 13,16-17) o sono una folata di vento che passa via. Imparare dalla sua discepola di nome Maria, la quale “da parte sua custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore” (Lc 2,19), per questo beata (Lc 1,45), felici coloro che ascoltano, conservano, meditano, cantano e praticano la parola.
fratel Giancarlo
Per gentile concessione del Monastero di Bose
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