Seme che risplende come il sole
Il flusso di storie che esce dalla bocca di Gesù lungo tutto il capitolo di Matteo che stiamo leggendo, oggi subisce una deviazione: un cambiamento di luogo e di ascoltatori. Gesù era sulla riva del mare, fuori, per incontrare uomini e donne, ora fa il movimento contrario: lascia quella folla ed entra in casa, dove è circondato dai suoi discepoli. Da essi è sollecitato a dare spiegazione di una parabola raccontata a tutti: gli pongono una domanda specifica, vogliono approfondirne il senso. Gesù non si tira indietro: se noi abbiamo bisogno di ulteriori parole, se vogliamo andare ancora più in profondità nella nostra comprensione di lui e del suo operare, lo dobbiamo interrogare, ed egli prende tempo con noi, ci spiega. Si ferma con chi è entrato in una relazione di intimità, di frequentazione assidua con lui: questo rende possibile una sempre maggior conoscenza, egli può dirsi e noi possiamo ascoltare e provare a comprendere.
E con quale precisione Gesù lo fa! Se la parabola era un susseguirsi di immagini: il seminatore, il campo, il seme, la zizzania… ora di ogni termine viene svelato ciò a cui rimanda. Ma non solo, viene anche data una visione di ciò che la parabola significa se applicata alla nostra vita. Tra parabola e spiegazione è intessuta la trama dell’opera salvifica di Dio nei confronti dell’essere umano: il suo essere luce, sole che produce linfa vitale, aprendo all’essere umano il futuro, un tempo da vivere in cui è lasciato tutto lo spazio per mettere in gioco libertà e responsabilità. Sì, perché il seme seminato è un “buon seme”, un “seme bello”: a esso viene dato tutto il tempo per germinare, il tempo viene dilatato, nonostante la presenza anche di un seme cattivo, perché nel campo, che è il mondo, ci sia lo spazio per maturare prima della raccolta dei frutti.
Un tempo supplementare in cui a grano e zizzania, a tutti i tipi di seme, viene data la possibilità di lasciarsi plasmare, illuminare dalla luce del sole, per divenire “luce del mondo” (Mt 5,14). Una luce che a noi esseri umani viene continuamente donata attraverso le parole di Gesù: la parola del vangelo che può illuminare le nostre vite. A ogni seme è richiesta un’unica cosa: portare frutto, lì è la sua “bellezza”. A ogni essere umano è dato di scegliere: lasciarsi nutrire dalla linfa vitale che viene dalla parola di Gesù, e divenire a lui somiglianti, operando oggi, nel campo del mondo, il bene, la giustizia, la comunione, oppure rendersi sempre più lontani dall’avere cittadinanza nel regno, operando scandali e ingiustizie. Alla fine del tempo, come in tutti i campi coltivati, arriva il momento della mietitura: è il tempo della separazione, di quell’operazione che pur posticipata, arriverà. In quel momento lo sguardo sarà rivolto al frutto: frutto nato nella sua bellezza, nutrito e maturato conformandosi alla luce dell’amore che riceveva, o l’aborto di un seme che aveva la potenzialità di essere “buono, bello”, ma che non si è nutrito della linfa dell’amore, non ha voluto somigliare a quella luce che gli permetteva di vivere, ed è già morto.
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Oggi la spiegazione di Gesù ci proietta sì verso il futuro, verso un oltre dove il nostro essere in potenza “buon seme” potrà “splendere come il sole” (v. 43) se avrà portato il frutto, un frutto però che cresce e matura nelle nostre scelte e azioni di oggi.
sorella Elisa
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