Semi del Regno
Le parabole del regno non ci parlano di un mondo al di là del mondo in cui viviamo, non raccontano cosa c’è di là, ma ci descrivono la nostra realtà con gli occhi di Dio, ci rivelano come e dove Dio regna già qui e ora e – solo di conseguenza – come sarà la vita piena quando questo regno, racchiuso in un piccolo seme, si sarà dilatato a dimensione cosmica ed eterna.
Allora le parabole dei due semi, quello di grano e quello di senape, ci parlano della nostra storia umana, delle nostre piccole storie personali, delle nostre ordinarie vicende familiari e comunitarie. E ci invitano a guardarle con gli occhi di Dio e nella prospettiva del suo regnare sull’universo. Ci chiedono di avere fiducia nel nostro impasto umano dove è impressa l’immagine e la somiglianza con Dio, fiducia nel germe di eternità posto in noi con il battesimo, fiducia nel lavoro quotidiano dello Spirito all’opera in noi e negli altri, fiducia nel tempo che non è chrónos, un mostro che divora i suoi piccoli, bensì kairós, l’occasione propizia in cui l’Altissimo si fa prossimo, l’Eterno si fa oggi.
Ed è bello che i due semi posti al cuore delle parabole odierne appartengano a due piante così diverse. Il primo, il grano, è il seme della necessità, l’embrione del cibo solido, il germe da cui si attende il frutto concreto per eccellenza: il pane che nutre ogni essere umano, l’umanità capace di coltura e di cottura, capace di raccogliere, vagliare, macinare, impastare, cuocere… per nutrirsi. L’altro, il granello di senape è il seme della gratuità: non solo perché il frutto sarà una spezia – che aggiunge sapore e durata a un cibo altro da sé – ma anche perché la nostra parabola si disinteressa del frutto nato da quel granello e ci invita a guardare alle fronde, ai rami, ai nidi di quegli uccelli “che non seminano, non mietono, non raccolgono nei granai” (cf. Mt 6,26), eppure sono nutriti dal Padre celeste.
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Infine, a conclusione delle parabole, resta sospesa una domanda. Gesù annunciava la Parola “come potevano intendere”, con riferimenti alla terra, alla natura, alla vita quotidiana… Per questo potremmo dire che i piccoli “potevano intendere bene”, coglievano facilmente i misteri del regno. Ai discepoli però – che Marco in particolare ci presenta come duri di cuore, lenti a credere, refrattari agli insegnamenti – ai discepoli Gesù “spiegava ogni cosa”. Ecco la domanda sospesa: spiegava ogni cosa ai discepoli perché avessero parte al segreto messianico, oppure gliela doveva spiegare perché non erano tra quei “piccoli” cui queste cose erano state rivelate, ma piuttosto erano tra quei “sapienti” cui erano state nascoste?
Piccolezza e semplicità restano le chiavi di accesso al regno e alla sua realtà quotidiana, qui e ora.
fratel Guido
Per gentile concessione del Monastero di Bose
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