Monastero di Bose – Commento al Vangelo del giorno – 26 Ottobre 2021

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I pochi versetti evangelici appena letti contengono una triplice ripetizione della medesima domanda: “A che cosa si può paragonare il regno di Dio?” (vv. 18.20).

Proviamo a fermarci un attimo, a chiudere gli occhi e a chiederci a che cosa noi paragoneremmo il regno di Dio… Nel nostro immaginario il regno di Dio dovrebbe essere simile a qualcosa di grande e di bello, qualcosa di talmente divino da non essere più nemmeno umano. E invece eccoci davanti a due esempi talmente “terra terra” da non riuscire a vederci nulla di celestiale. 

Che meraviglia! O forse potremmo anche dire: che vergogna! Vergogna degli avversari di Gesù e gioia delle folle di fronte alle meraviglie da lui compiute sono ciò che spingono Gesù a porre le ripetute domande sul regno di Dio. Il “dunque” (v. 18) con cui inizia il testo lo mostra chiaramente, infatti nel brano precedente al nostro gli uditori di Gesù si dividono tra chi si vergogna e chi si stupisce. 

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E noi, ciascuno di noi, dove si pone? Siamo tra quelli che si scandalizzano nel sentire Gesù che descrive il regno di Dio con paragoni che c’entrano ben poco con Dio, o siamo tra quelli che se ne rallegrano perché finalmente sentono parlare di Dio in termini che glielo fanno sentire vicino? Cosa c’entra il regno di Dio con un seme che va a finire sotto la terra quando il nostro Dio sta nei cieli? Il nostro Dio è Spirito, e adesso lo si vuole paragonare con il lievito che diventa pane e occorre addirittura masticare e mangiare?

In effetti di fronte a ciò che Gesù dice si può restare tanto confusi quanto piacevolmente meravigliati. Ciò che fa la differenza sembra essere accogliere con fiduciosa speranza il messaggio che Gesù propone. Il suo messaggio infatti non è troppo lontano da noi! “Non è nel cielo perché si dica: ‘Chi salirà in cielo per prendercelo’, ma è molto vicino … perché si possa metterlo in pratica” (Dt 30,11-14). È talmente vicino che rischiamo di non accorgercene. 

Nel nostro caso metterlo in pratica significa accorgerci che c’è, accogliere il suo dinamismo, accettare i suoi tempi non affrettati e lasciarlo agire nelle nostre vite.

Certo il dinamismo del regno di Dio può intimorire. Pensare che Dio entri nelle nostre vite così umane può far veramente tremare, al punto da preferire di non voler avere niente a che fare con lui. Proprio per evitare questo, Dio ha deciso di farci conoscere il suo regno nell’uomo Gesù. Ha deciso di rivelarsi nell’uomo Gesù perché potessimo sentirlo più vicino a noi e così potessimo incontrarlo più facilmente. Se si presentasse a noi con tutta la sua potenza, verremmo schiacciati. 

Così anche Gesù per parlarci del regno di Dio utilizza dei paragoni che rimandano ad azioni che noi tutti possiamo compiere e accogliere. Paragoni molto semplici. Paragoni che, soprattutto all’epoca di Gesù, si riferivano a azioni concrete che tutti e tutte conoscevano e praticavano, e di cui noi oggi più raramente facciamo esperienza.

Seminiamo allora un seme e impastiamo del lievito nella farina… proprio così capiremo un po’ meglio cos’è il regno di Dio e lo lasceremo agire nelle nostre vite.

fratel Dario


Fonte

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