Monastero di Bose – Commento al Vangelo del giorno – 26 Novembre 2020

La comunità alla quale Luca scrive ha vissuto il trauma della distruzione di Gerusalemme e del tempio da parte dell’occupante romano. Davanti alle disgrazie e alla potenza del male il vangelo cerca di dare un senso per i credenti affinché non restino schiacciati e possano integrare l’accaduto in una storia più globale che abbia un significato spirituale. Qual è la parola che Dio pronuncia su questi eventi drammatici?

Nella storia ogni volta che le potenze del male si sono scatenate è sorta l’idea della fine del mondo e del giudizio di Dio su di esso. Sofonia aveva detto: “È vicino il grande giorno del Signore, giorno d’ira, di angoscia, di rovina e di sterminio, giorno di grida di guerra sulle città fortificate … gli uomini hanno peccato contro il Signore” (cf. Sof 1,14-18).

“Quelli infatti saranno giorni di vendetta, affinché tutto ciò che è stato scritto si compia” (Lc 21,22): Gesù rilegge la storia alla luce delle parole dei profeti. Ma per lui la “vendetta” si è trasformata in pianto: “Gerusalemme, Gerusalemme, tu che uccidi i profeti e lapidi quelli che sono stati mandati a te, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli … e voi non avete voluto. Ecco la vostra casa è abbandonata a voi” (Lc 13,34-35). Gesù propone una lettura realista che mette in rilievo la responsabilità umana in quello che succede. La sete di potere e di gloria senza limiti della potenza romana da un lato, e l’indurimento del cuore da parte dei responsabili religiosi che si sono lasciati alienare dall’altro, non potevano che portare al disastro. Chi sceglie le vie peccaminose ne paga poi le conseguenze. Nel Deuteronomio la Scrittura testimonia di un Dio pieno di passione amorosa per la vita e la felicità degli esseri umani: “Io ti ho posto davanti la vita e la morte, la benedizione e la maledizione. Scegli dunque la vita … amando il Signore, tuo Dio, obbedendo alla sua voce e tenendoti unito a lui” (Dt 30,19-20).

Il giudizio di Dio, in Gesù, diventa pianto e sofferenza per i più vulnerabili di fronte alle catastrofi che sono le guerre, le distruzioni e l’odio. Lui pensa subito alle donne incinte e a quelle che allattano. Evidentemente sono le più esposte mentre accudiscono la vita presente nella sua più grande fragilità e la vita futura. Diventano il primo bersaglio di quelli che scelgono le vie di morte e che sembrano liberi di seminare paure, angosce e sterminio a piacimento.

Dove troviamo una speranza in questa descrizione tanto angosciosa quanto realista? La speranza è nel giudizio di Dio. Egli non può impedire le scelte disumane, ma nella fede sappiamo che il regno di Dio è tra di noi nella presenza del Figlio dell’uomo venuto a visitarci. Contemplandolo sulla croce, capiamo che è venuto a condividere la nostra sofferenza invece di attuare un giudizio tremendo a immagine della violenza umana. Il suo giudizio è liberatorio perché è quello dell’amore e della misericordia per tutti quelli che accettano di riceverli. Siamo invitati ad alzare il capo, nella fede che la nostra liberazione dal peccato è vicina in lui.

sorella Sylvie


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