Signore della mia vita
Gesù narrato come Messia che guarisce: non è solo uno che insegna e chiede, un Maestro, per quanto autorevole e credibile (si pensi al discorso della montagna, cf. Mt 5-7), ma colui che interviene sanando ciò che separa, che fa soffrire, che impedisce. È il Signore della mia vita, su cui opera con la potenza che io non ho; quello che posso avere è la fiducia in questa sua azione, fiducia che non è mai scontata né esclusiva.
Viene fatto secondo la volontà di Gesù che rivela quella di Dio; realizza la Parola compromettendosi, prendendo su di sé la debolezza umana, caricandosi della debolezza umana: è il modo delle guarigioni, ma anche del curare umano, dunque a mia portata.
Gesù accoglie le situazioni di bisogno espresse o non espresse, le vite impure che sono contaminazione, impedimento ed inciampo (scandalo) per chi crede di esserne preservato, perché dà talmente per scontato di essere “a posto” che rischia di non accorgersi della propria malattia interiore: anche nella casa del discepolo c’è bisogno di guarigione!
Gesù accoglie e cura le persone in tutte le loro povertà: malati scomunicati; esclusi per nascita; marginalizzati per genere; senza porre condizioni prima o richieste dopo, senza voler trattenere nessuno con e per sé: “Va’…!”.
Vuole guarire: la sua volontà coincide con il desiderio di bene-essere dell’uomo: “… l mio servo è in casa, a letto, paralizzato e soffre terribilmente …Verrò e lo guarirò/curerò” (vv. 6-7). Si pensi alla scena del lebbroso che dice a Gesù: “Se vuoi…”, che gli risponde: “Voglio!” (cf. Mt 8,2-3).
È necessario non dimenticare mai questo, soprattutto nei momenti di difficoltà in cui facilmente ci si chiede se la cura e la vicinanza di Dio siano solo illusione consolatoria, se gli interessa davvero la mia situazione, se le mie attese, i miei sogni, significano qualcosa nel suo sentire. Credere invece che il Signore mi incontra proprio nei miei desideri, che il mio bene è il suo progetto, la sua volontà.
Matteo, rispetto agli altri vangeli, abbrevia i racconti e allarga i dialoghi, per arrivare a dare ancora più peso alla fede/fiducia del discepolo e indicarne la via di attuazione.
Viene fatto secondo la fede/fiducia dell’uomo, che non è la condizione dell’agire di Gesù, ma dà accesso alla comunione con i credenti e al Regno di Dio.
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La vicenda tra due, che in questo caso è già quasi del tutto dialogo, è subito insegnamento per tutti coloro che seguono Gesù, attraverso un secondo dialogo con loro. Le parole che Gesù dice permettono di cominciare a vedere altre realtà con altri occhi, quelli stessi del Signore.
Non solo dunque attenzione a ciò che accade, ma sforzo per leggerlo alla luce della parola del Signore che dialoga con me. La sua intenzione non è solo una richiesta di comportamento, ma il dono di una lettura ampliata e motivante che interpelli e possibilmente accresca il fidarmi di lui, concretizzandolo in comportamento.
Si accede a questa lettura che permette di capire le modalità del Signore, non con eventi straordinari, ma con la fatica del ripensare l’ordinario: l’efficacia della parola in una pur limitata autorità fa comprendere l’efficacia di quella di Gesù e la propria indegnità.
L’esperienza dell’autorità subita ed esercitata è occasione di apprendimento del corretto rapportarsi con il Signore: senza obbedienza e responsabilità verso gli uomini viene anche mal elaborata la relazione con Dio.
un fratello di Bose
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