Elemosina, preghiera, digiuno vissuti non da ipocriti ma sotto lo sguardo del Padre. A questo ci invita il vangelo che risuona oggi, mercoledì delle ceneri e inizio del cammino quaresimale, un cammino animato dal santo desiderio della Pasqua di resurrezione, un tempo e un cammino gioiosi se vissuti con gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù.
“Non come gli ipocriti”, non come gli attori che recitano una parte, che nascondono il volto e amplificano la voce dietro a una maschera. L’ipocrisia è forse una delle tentazioni più grandi che minaccia quella particolare categoria di battezzati che siamo noi monaci: siamo attratti dalla silhouette, dall’abito, dai riti, dalla visibilità e volte persino dalla sovraesposizione e dietro a queste maschere – apprezzate anche da chi ci guarda – smarriamo la nostra identità, quell’autenticità che sola può guidare sui passi del vangelo le nostre vite, come quelle di ogni cristiano.
La Quaresima allora può essere un tempo di ritrovata autenticità, un percorso di riscoperta della propria identità proprio attraverso i tre elementi richiamati dal vangelo odierno.
L’elemosina, cioè la verità su cosa ci è davvero caro e sulla nostra capacità di vivere il dono, di condividere – come la vedova al tempio – non solo qualcosa dei nostri beni ma tutto quello che ci fa vivere e, ancor più in profondità, quel bene che ciascuno di noi è chiamato a essere per gli altri.
La preghiera, cioè la verità del nostro dialogo con Dio, della nostra capacità di ascolto obbediente e di parola responsabile, di messa in pratica e di fedeltà alla parola data.
Il digiuno, cioè la verità del nostro rapporto con quanto ci nutre e ci sostiene, il discernimento sulla bontà e l’utilità di quanto lasciamo entrare in noi, l’astensione da quanto appesantisce il nostro cuore e la nostra mente.
In questo senso condivisione, preghiera e digiuno per un cristiano – e ancor più per un monaco cenobita – non sono mai percorsi individuali: non solo perché la qualità relazionale è nella loro natura, ma perché l’autenticità delle nostre vite – quella schietta trasparenza cui la Quaresima vuole ricondurci – è la koinonia, la comunione di vita, l’essere animati da una sola fonte, quella dei nostri fratelli e le nostre sorelle: l’amore di Dio in Cristo Gesù.
Forse è per questo che san Benedetto nella sua Regola dice che “la vita del monaco (e io credo di poter dire la vita di ogni cristiano) dovrebbe avere in ogni tempo un’osservanza quaresimale”: non come triste e ipocrita adempimento di precetti minuziosi e di pratiche che mortificano il corpo donatoci dal Signore per una vita in pienezza, ma come rispetto quotidiano della nostra autenticità di fronte a Dio e ai fratelli e alle sorelle, un quotidiano rinnovarsi delle promesse battesimali, di quell’Amen pronunciato prima da Dio e poi da noi sulle nostre povere vite.
fratel Guido
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