Sulle tracce di Gesù, fino alla fine
Il giorno successivo al Natale la liturgia ci fa ricordare la passione e la morte di Stefano, “uomo pieno di fede e di Spirito santo” (At 6,5) che era stato scelto con altri sei discepoli per servire chi si trovava nel bisogno. A parte la breve notizia concernente Giacomo, fratello di Giovanni, di cui Luca ci dice che il re Erode lo fece uccidere di spada (cf. At 12,2), Stefano è l’unico discepolo del Signore di cui è raccontata la passione e la morte, e viene descritta negli Atti degli apostoli sulla falsariga della passione e morte di Gesù. Come Gesù Stefano viene condotto davanti al sinedrio e accusato da falsi testimoni, si scontra con i suoi fratelli ebrei, è dichiarato colpevole di bestemmia contro Dio (come Gesù in Gv 10,31-33), viene ucciso fuori dalla città santa (come Gesù, cf. Eb 13,12).
Perché Stefano viene condannato a morte? Perché ha continuato la missione di Gesù e degli apostoli con gesti e parole (cf. At 6,8.10); perché ha accolto l’invio di Gesù: “Ecco: io vi mando come pecore in mezzo a lupi”, come ricorda il versetto di Mt 10,16, che precede il passo del vangelo odierno. Il lupo uccide per vivere, fa della pecora il suo cibo. Diventiamo lupi ogni volta che vogliamo salvare la nostra vita, salvare noi stessi con le nostre forze, cosa che ci porta inevitabilmente a divorare l’altro.
“Fate attenzione agli uomini!”, ammonisce Gesù e annuncia che la vita vissuta nell’amore così come lui l’ha vissuta incontrerà il rigetto di molti e la persecuzione. Il discepolo del Signore non sceglie la morte, non desidera la morte, fosse pure una morte eroica (cf. Mt 10,23: “Quando sarete perseguitati in una città, fuggite in un’altra”); il discepolo del Signore sceglie un modo di vivere, quello del suo Signore Gesù e a lui rende testimonianza in ogni situazione. La parola “martirio” (in greco martýrion) significa “testimonianza” e questa testimonianza può essere attuata in molti modi. Stefano è stato testimone (mártys) vivendo il suo servizio ai fratelli e alle sorelle, la persecuzione e la morte nell’amore e, come Gesù, perdonando chi lo lapidava: “Signore, non imputare loro questo peccato” (At 7,60).
- Pubblicità -
La chiesa antica affermava che accanto al martirio di sangue, “il martirio rosso”, vi sono altre forme di martirio incruento. Di Antonio il Grande, padre dei monaci, si racconta che, dopo aver assistito i cristiani condannati a morte, al termine della persecuzione partì dalla città di Alessandria e “si ritirò di nuovo in solitudine; stava là e viveva ogni giorno il martirio della coscienza e combatteva le battaglie della fede” (Vita di Antonio 47,1). Antonio vive il martirio ogni giorno, mettendo a morte ogni pensiero, ogni sentimento che non sia conforme al vangelo.
Nel nostro tempo molti cristiani in Africa e in Oriente subiscono il martirio di sangue, come Stefano; difficilmente a noi cristiani d’occidente accadrà di essere perseguitati e condannati a morte, ma a tutti è chiesto di vivere il martirio della coscienza o del cuore, mettendo a morte dentro di noi ogni pensiero che non sia secondo il vangelo, di diventare testimoni, cioè “martiri”, vivendo nell’amore ogni evento della vita, di amare tutti, anche chi ci fa del male. E se spesso non siamo noi a scegliere gli eventi della vita, sempre siamo noi a scegliere come viverli!
sorella Lisa
Per gentile concessione del Monastero di Bose
Puoi ricevere il commento al Vangelo del Monastero di Bose quotidianamente cliccando qui