Monastero di Bose – Commento al Vangelo del giorno – 26 Dicembre 2020

All’indomani del Natale del Signore, la chiesa fa memoria del primo martire cristiano, Stefano. La morte per lapidazione di questo diacono della chiesa primitiva di Gerusalemme fa seguito alla scena della nascita di Cristo Gesù. Tale successione nel calendario impone a prima vista un contrasto crudele tra l’immagine a volte mitigata del bambino in fasce accompagnata dal canto degli angeli e il sangue versato di Stefano.

In questo modo, però, la liturgia rende manifesto il paradosso cristiano del Figlio di Dio che nasce e muore per dare vita al mondo. I cristiani sono così portati a discernere nel piccolo sdraiato in una mangiatoia il “segno di contraddizione che svela i pensieri di molti cuori”, annunciato da Simeone (cf. Lc 2,34-35), la pietra angolare e l’inciampo di cui parla la Scrittura (cf. Sal 118,22; 1Pt 2,8).

A noi cristiani è chiesto di fondare la nostra fede su quella pietra affinché, “quali pietre vive, siamo costruiti anche noi come edificio spirituale” (cf. 1Pt 2,5): ma ci viene allo stesso tempo ricordato che chi vuole amare Cristo, seguendolo fattivamente, si pone liberamente davanti al dono di sé, che può andare fino al dono della vita, fino alla morte.

E questo non per crudeltà, bensì per fedeltà al Signore stesso che adoriamo nella mangiatoia. Il primo infatti ad avere conosciuto tale sorte, o meglio ad avere seguito tale strada liberamente e per amore, è stato Gesù stesso. Lo abbiamo ascoltato nelle letture del giorno di Natale: il Dio che viene nel mondo non è stato accolto dai suoi, le tenebre si oppongono alla sua luce (cf. Gv 1,9-11). Perché dovrebbe andare diversamente a coloro che tentano di seguirne le orme?

Cristo è segno di contraddizione, ci obbliga a schierarci. La venuta di Dio e la scelta di affidare a tale evento la propria vita è una cosa seria, che ha a che fare con la forza e chiama alla testimonianza fino alla fine.

Tale testimonianza (che in greco si dice appunto “martirio”), Stefano l’ha data in modo definitivo. I capitoli 6 e 7 degli Atti degli apostoli ne rendono conto. Di più, queste pagine narrano come in lui il vangelo odierno si realizza. Stefano, nel tribunale dove viene trascinato, alla presenza dei suoi accusatori, lascia che lo Spirito santo parli in lui. E la fondatezza delle sue parole ispirate viene confermata dalla sua disponibilità a morire per testimoniare la verità di Cristo e della sua resurrezione.

Commentando la pagina evangelica di questo giorno papa Francesco ha affermato: “I cristiani sono uomini e donne ‘controcorrente’. Non per spirito polemico, ma per fedeltà alla logica del regno di Dio, che è una logica di speranza, e si traduce nello stile di vita basato sulle indicazioni di Gesù”. Ora, queste indicazioni non si riassumono in pensieri sdolcinati (come fa magari credere una certa immagine del Natale), ma possono portare a subire opposizioni radicali, da parte di “tutti, a causa del mio nome”(v. 22). Però, ecco la speranza: “Chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato” (v. 23).

Forse, modestamente, il Natale di quest’anno, oscurato dalle restrizioni sanitarie e sociali, ci fa in qualche modo cogliere sulla nostra stessa pelle qualche cosa di questa realtà, alla nostra misura.

fratel Matthias


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