Monastero di Bose – Commento al Vangelo del giorno – 25 Ottobre 2022

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Come un granellino di senape

Gesù sta salendo a Gerusalemme. Siamo al cuore di questo viaggio, probabilmente ancora in Galilea: Erode era tetrarca della Galilea e un po’ più avanti Gesù viene messo in guardia proprio contro Erode: «Parti e vattene via di qui, perché Erode ti vuole uccidere» (Lc 13,31). Lo sguardo di Gesù è rivolto a Gerusalemme: alla torre di Siloe e ai morti nel suo crollo, che non erano “più colpevoli di tutti gli abitanti della città” (Lc 13,4), e a Gerusalemme che “uccide i profeti” (13,34).

Il vangelo di Luca è quello che riporta il maggior numero di parabole e quasi tutte si ritrovano nella sezione della salita a Gerusalemme. Solo queste due piccole parabole si riferiscono esplicitamente al “regno di Dio”. Esse hanno un parallelo nel vangelo di Matteo (cf. Mt 13,31-33 dove si ritrovano insieme, mentre solo la parabola del granello di senape è riferita da Marco (cf. Mc 4,30-32).

Il “regno” è un tema maggiore nell’opera lucana, tema che compare fin dall’inizio. L’angelo dice a Maria: “il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre… e il suo regno non avrà fine” (Lc 1,31-33), fino alle parole del ladrone sulla croce: “Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno” (Lc 23,42) e all’insegnamento del Risorto, come riportato all’inizio degli Atti degli apostoli: “Egli si mostrò a essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, durante quaranta giorni, apparendo loro e parlando delle cose riguardanti il regno di Dio” (At 1,3).

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Un regno senza fine, come detto dall’angelo all’annunciazione, un regno eredità dei poveri delle beatitudini (cf. Lc 6,20), un regno annunciato dalla predicazione di Gesù e dalle guarigioni da lui compiute (cf. Lc 9,11). Eppure qui le parabole ci parlano di piccolezza e nascondimento: il più piccolo dei semi, una piccola manciata di lievito. C’è dunque una sproporzione tra ciò che c’è e ciò che è promesso. Bisogna credere senza vedere, bisogna credere nelle contraddizioni: Gesù ha già annunciato la sua passione (cf. 9,44) e poco dopo parlerà dell’entrare per la porta stretta (cf. 13,24)

Il regno è come il granello di senape e come la manciata di lievito: nella parabola entrano anche due figure silenziose, un uomo e una donna. Certo, il regno appartiene a Dio, certo il regno si è reso presente nel mondo in Cristo. Solo una volta (nella parabola propria a Matteo del buon seme e della zizzania in Mt13,37) tra le varie parabole del seme che si trovano nei vangeli è specificato che il seminatore è il Figlio dell’uomo. Altrove non è detto. Il seme spesso è identificato con la parola di Dio, qui è il regno stesso. Matteo dice: “un granello di senape, che un uomo prese e seminò nel suo campo”. (Mt 13,31), Marco usa una costruzione passiva “un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno” (Mc 4,31).

Mi sembra che il presentare le due figure del seminatore e della donna possa suggerire un’interpretazione che implica la responsabilità di ogni credente. La vocazione umana è portare un compimento alla creazione di Dio. L’uomo deve gettare il seme che non gli appartiene vedendo l’invisibile: l’albero grande che accoglierà tutti gli uccelli del cielo. La donna deve prendere e nascondere, mescolare il lievito, che non è suo, con la fiducia che tutta la pasta lieviterà. Ai discepoli è chiesto di seguire Gesù anche attraverso la porta stretta, di annunciare un Messia che hanno visto rigettato e ucciso portando nel cuore la certezza della promessa del Signore, vedendo la gloria della resurrezione. Poiché il regno di Dio non segue la logica della potenza umana (non è come l’albero grande di Daniele 4). Dio coinvolge l’uomo, Dio chiede all’uomo di credere nelle promesse, di vedere la bontà che sorge, di gettare il seme, il più piccolo dei semi, portando nel suo cuore la certezza che crescerà, finché tutte le genti siano accolte e trovino dimora nel regno.

sorella Raffaela

Per gentile concessione del Monastero di Bose

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