Salito a Gerusalemme, Gesù si prepara alla Passione: lo sguardo sul tempio mette in questione il senso del tempo, il volgere al termine dei tempi burrascosi degli uomini, e persino dei cieli. Eppure, dirà poco dopo, “quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina” (Lc 21,28). Ma come arrivare a questo compimento?
Oggi la nostra attenzione si concentra sulle parole di Gesù che da un lato annunciano persecuzioni, manifestazioni di tradimento e odio, lacerazioni e uccisioni, dall’altro riconoscono proprio in queste il dischiudersi di possibilità di vita. C’è una pienezza di vita che può nascondersi nel ritrovarsi “testimoni”, nel rendere la propria martyría nelle prove. E non per particolari meriti o per capacità oratorie di difesa, bensì per il restare in ascolto, un ascolto coraggioso e profondo del Signore Gesù, perché sarà lui a darci “parola e sapienza, cosicché i vostri avversari non potranno resistere né controbattere” (Lc 21,15). Così sarà possibile che le avversità “sfoceranno per noi in testimonianza” (come traduce Silvano Fausti). Gesù aveva già invitato i suoi a non preoccuparsi “di come o di che cosa discolparvi, o di che cosa dire, perché lo Spirito santo vi insegnerà in quel momento che cosa dire” (Lc 12,11-12; cf. At 6,10).
Gesù assicura che “nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto”(Lc 19,18), come aveva detto di non temere coloro che “uccidono il corpo e dopo questo non possono fare più nulla” perché “anche i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non abbiate paura: valete più di molti passeri!” (Lc 12,4.7).
La salvezza viene dalla nostra “perseveranza”, così conclude qui Gesù. Si tratta di quella costanza e fermezza, quella pazienza attiva, libera e responsabile, che permette di “rimanere sotto”, di stare nonostante…, attendendo con fiducia e speranza la venuta del Signore. La perseveranza è quella “modalità di stare-dentro alle situazioni di vita che implicano sofferenza, prova, dolore, senza negarle, senza aver paura di chiamare in causa anche Dio, ma gridando a gran voce il desiderio di uscirne, la volontà positiva di portare avanti un progetto di vita che non si adagi nella rassegnazione, come in una specie di morte anticipata” (Lino Dan). È un parlare con Dio, come fa Giobbe, come fa il salmista che continuamente e tenacemente dialoga con il suo Dio.
Questa stessa perseveranza è l’ascolto che permette di dare frutto: “Il seme caduto sulla terra buona sono coloro che, dopo aver ascoltato la parola con cuore buono e perfetto, la custodiscono e producono frutto con la loro perseveranza” (Lc 8,15). Infatti, “tutto ciò che è stato scritto prima di noi, è stato scritto per nostra istruzione, perché in virtù della perseveranza e della consolazione che ci vengono dalle Scritture teniamo viva la nostra speranza. E il Dio della perseveranza e della consolazione vi conceda di avere gli uni verso gli altri gli stessi sentimenti sull’esempio di Cristo Gesù” (Rom 15,4-5)!
sorella Silvia
Puoi ricevere il commento al Vangelo del Monastero di Bose quotidianamente cliccando qui