Monastero di Bose – Commento al Vangelo del giorno – 25 Giugno 2021

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Quando Gesù scende…

Da questa settimana abbiamo ripreso a leggere l’Evangelo secondo Matteo, a partire dalla predicazione di Giovanni Battista e dal battesimo di Gesù, il cui ministero è iniziato con la triplice tentazione, riassunto drammatico, ma vittorioso, dell’intera vita di Gesù. Vi è stata poi, ieri, l’interruzione della festa della natività di Giovanni Battista. 

Dopo il discorso sul monte (cf. Mt 5-7), che saltiamo perché l’abbiamo meditato in quaresima, Matteo mostra che Gesù non è solo un nuovo Mosè che indica la via di Dio; il suo insegnamento è sostenuto e confermato da opere: quelle narrate nei capitoli 8 e 9. Anch’esse sono catechesi, non più in parole, ma in atti. Sono azioni, soprattutto guarigioni – intercalate da episodi centrati sulla vocazione a seguire Gesù –, che sfoceranno nel grande discorso missionario del capitolo 10.

Leggiamo oggi la prima di queste opere: la purificazione, non a caso, di un lebbroso.

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Si conosce la situazione disperata dei lebbrosi nella società biblica, condannati a vivere fuori dai luoghi abitati e a segnalare la loro presenza gridando: “Impuro, impuro” (Lv 13,45-46). Gesù quindi incontra un lebbroso che non si conforma alla legge: infatti non Gesù lo incontra, ma è lui, il lebbroso, ad avvicinarsi a Gesù, e non grida “impuro” perché lo si eviti, ma si prosterna davanti a Gesù implorando: “Se vuoi, puoi purificarmi” (v. 2).

Anche Gesù si mostra molto libero nei confronti della legge: stende la mano verso l’“impuro” e lo tocca: per Gesù, questo lebbroso non è un problema o un caso che si evita o sul quale si discute, è un uomo che, come ogni uomo, anzi, più di tutti, ha bisogno di compassione: vive un inferno dal quale dev’essere tratto fuori e dal quale uscirà solo se è raggiunto da Gesù là dov’è, nella sua disperazione.

Da ciò possiamo comprendere che Gesù non si è accontentato di “scendere” dal monte in pianura, è invece sceso dal mondo dei benestanti per raggiungere il disperato; questo episodio diventa così parabola di ciò che professiamo nel credo: “Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo … e si è fatto uomo”. 

Questa discesa non fu una passeggiata: nel toccare il lebbroso, Gesù ha di fatto preso su di sé la sua impurità, come sottolineerà Matteo quando scriverà che nel suo agire Gesù compiva ciò che il profeta Isaia aveva detto del Servo: “Egli ha preso le nostre infermità e si è caricato delle malattie” (Mt 8,17; cf. Is 53,4).

Inoltre, il sacerdote dal quale Gesù manda il lebbroso, come prescrive la legge (cf. Lv 13), potrà solo constatare la sua guarigione, ma non ne conoscerà l’origine, perché il risanato non deve svelare il nome di chi l’ha guarito (“guardati bene dal dirlo a qualcuno”, v. 4); deve invece presentare l’offerta prescritta. Ciò è segno che in realtà non Gesù ha guarito il lebbroso, ma Dio stesso, sceso nella compassione di Gesù per purificarlo. È dunque lui che occorre ringraziare.

Questa guarigione è quindi una narrazione in atti: Gesù ci racconta ciò che Dio stesso fa per noi.

fratel Daniel


Fonte

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