Eppure
Siamo alla fine del Vangelo secondo Marco. Siamo all’epilogo di un fallimento di un figlio d’uomo acclamato come il Cristo figlio di Dio, condannato a morte e appeso su una croce. Siamo alla fine dell’esperienza dei suoi discepoli, disgregati nell’ora dell’infamia del loro maestro. Uno ha tradito e quasi tutti hanno smentito il loro legame con Gesù, abbandonandolo nell’ora più terribile. In questa triste storia non c’è alcuna buona notizia. Un nodo di sgomento appare definitivo. Eppure la parola “evangelo” ritorna oggi nella forma verbale di un imperativo coinvolgente e ambizioso che innesca un nuovo inizio: “Andate in tutto il mondo e evangelizzate ogni creatura”.
Eppure questo mandato è sulla bocca di quell’uomo torturato e crocifisso come un sobillatore che dicono sia risorto da morte. Ed è ai suoi che si rivolge. Essi non credono, hanno il cuore duro. Eppure lui non smette di avere fiducia in loro.
Tutto questo è sconvolgente e paradossale. Siamo alla fine, eppure è solo l’inizio di una nuova epoca. Tutto sembra andare a rotoli e abbiamo mille argomentazioni per sostenere questa tesi senza confutazioni, eppure i verbi al futuro della pagina evangelica di oggi ci annunciano lo sbeffeggiamento del potere del male, l’ingresso di lingue nuove nella storia dell’umanità, la pacifica convivenza con i serpenti velenosi, la guarigione dalle malattie. Tutto il presente è carico di enigmi e inquietudini, eppure il futuro si colora di un rosso che annuncia non un banale ottimismo ma un’audace speranza. Che solo i piccoli possono profetare. “Vedo il mondo mutarsi lentamente in un deserto, odo sempre più forte l’avvicinarsi del rombo che ucciderà anche noi, partecipo al dolore di milioni di uomini, eppure, quando guardo il cielo, penso che tutto volgerà al bene, che anche questa spietata durezza cesserà, che ritorneranno l’ordine, la pace e la serenità”, scriveva Anne Frank.
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Oggi celebriamo la forza sconvolgente e paradossale dell’amore di Cristo che si rivela a Paolo facendolo suo “libero prigioniero”. Paolo è l’ossimoro per antonomasia dell’esperienza credente, ha vissuto nella sua carne tutte le tensioni che l’evangelo spande a chi si lascia afferrare da quell’amore più forte della morte. Tutto in lui sembra farlo galoppare nell’irrecuperabile lontananza da Dio e da Gesù Cristo, eppure arriva il momento di una caduta irresistibile che riempie quel vuoto, colma quella lontananza. È l’irruzione della grazia che fa di Paolo, accanito persecutore della chiesa, un ministro e un testimone, un evangelizzatore, un missionario e un tessitore di comunità, l’apostolo delle genti.
Ci sia cara questa memoria liturgica, perché ci rammenta l’essenziale: l’evangelo è “potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede” (Rm 1,16). Non c’è nessun angolo nascosto nelle nostre esistenze che non può essere raggiunto dall’amore di Dio. Non c’è nessun irrimediabile errore capace veramente di compromettere la nostra vitae il nostro futuro. Lì dove abbonda il peccato, sovrabbonda la grazia. E questa sì, è buona notizia!
fratel Giandomenico
Per gentile concessione del Monastero di Bose
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