Volti liberi da maschere, sguardi limpidi senza filtri
“Vide un pubblicano di nome Levi … e gli disse: ‘Seguimi’” (v. 27). Prima di chiamare, Gesù vede, guarda. Il verbo greco usato dall’evangelista, theáomai, significa osservare meditando, contemplare, scorgere, riconoscere. Gesù osserva Levi, Gesù ci contempla.
Gesù mi guarda, e cosa vede? Gesù osserva con uno sguardo che ha la forza di far alzare e mettere in movimento, e di farlo “lasciando tutto” (v. 28), abbandonando ogni certezza e protezione. Che sguardo è un tale sguardo?
Fatichiamo a comprenderlo perché, spesso, lo sguardo con cui noi guardiamo noi stessi è schermato da molteplici strati di passate esperienze fallimentari, di fughe da situazioni di paura, di limiti che riteniamo imperdonabili. Il nostro sguardo su di noi si assolutizza su questi aspetti, questo il nostro tutto: peccatori, immobili nelle situazioni che viviamo – “Vide un pubblicano … seduto al banco delle imposte” (v. 27) -, indegni di partecipare alla gioia condivisa del banchetto.
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Altre volte il nostro sguardo su di noi ci rivela un’immagine distorta dal ruolo, dalla posizione sociale, dai successi ottenuti. Sicuri, protetti, nel rispetto di norme di buona condotta, non solo non riconosciamo più il nostro vero volto ma solo la maschera che indossiamo, ma non osserviamo più nemmeno gli altri, sepolti sotto cumuli di pregiudizi, di sospetti, di facili valutazioni. Non ci soffermiamo, non sostiamo sull’altro, non lo guardiamo più. Subito passiamo alla “mormorazione”, tentazione cui spesso cadono quelli che sono definiti gli avversari di Gesù: “I farisei e i loro scribi mormoravano e dicevano ai suoi discepoli: ‘Come mai mangiate e bevete insieme a pubblicani e ai peccatori?’”( v. 30). E così perdiamo di vista la nostra verità.
Lo sguardo di Gesù è altro, “vede oltre”, o meglio, vede nel profondo. Egli, che è l’immagine del Padre tra noi, riconosce negli uomini e nelle donne che incontra creature che portano l’immagine e la somiglianza con il Creatore: “Dio disse: ‘Facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza’” (Gen 1,26). Noi lo dimentichiamo, non ritroviamo più questa somiglianza e non la sappiamo più riconoscere in chi incontriamo. Gesù sosta su questa somiglianza e con il suo sguardo e la sua chiamata la fa risaltare in noi, la illumina. Per questo egli è venuto, per curarci nella nostra dimenticanza della somiglianza con il Padre: “Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori perché si convertano” (vv. 31-32).
Il suo sguardo ci raggiunge là dove noi siamo: rifugiati, immobili, seduti alla scrivania delle nostre certezze, delle nostre buie chiusure, attenti solo a curare i nostri piccoli e ristretti interessi. E con lo sguardo amorevole che illumina la nostra essenza di figli e figlie a immagine del Padre, egli viene presso di noi malati proponendoci una cura: la conversione. Il cambiamento, l’uscita da rapporti inautentici con Dio, con noi stessi e con gli altri, per riscoprire la nostra verità originaria e per ritrovare la relazione vitale con Dio e con i fratelli e le sorelle.
Conversione, movimento, per entrare ancora e sempre nella comunione con Gesù che ci chiama e, in lui, con il Padre che ci ha creati a sua immagine e somiglianza. Per partecipare alla comunione del grande banchetto del Regno, la comunione della salvezza cui anche il più lontano, messosi in cammino può partecipare. Al grande banchetto in cui non vi saranno più separazioni, esclusioni, ma grande comunione tra volti liberi da maschere e sguardi limpidi senza filtri.
sorella Elisa
Per gentile concessione del Monastero di Bose
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