Il Gesù che pronuncia queste parole infuocate può sconcertare. Di lui in Luca 9,51 leggiamo: “Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, egli prese la ferma decisione (lett.: ‘indurì il suo volto per’, cf. Is 50,7) di mettersi in cammino verso Gerusalemme”. La sua salita alla città santa è fatta di passi decisi verso la croce: nelle sue parole ritroviamo la determinazione che condurrà la sua offerta di sé a quell’estremo compimento, che potrà allora essere compreso come olocausto d’amore.
Gesù parla di fuoco: aveva un’intima conoscenza del fuoco che l’abitava (cf. Ger 20,9) e desiderava farlo divampare sulla terra. Elemento ricorrente nelle Scritture, caratteristico delle grandi rivelazioni divine, esso evocava il giudizio e la purificazione escatologica. Tuttavia ciò che ardeva in Gesù, se infiammerà i suoi – nell’ardore del suo desiderio possiamo vedere già inscritta la pentecoste, lingue di fuoco sulla chiesa nascente –, non divorerà nessun altro.
Non è infatti il fuoco che altri invocano dal cielo (cf. Lc 9,54). Piuttosto, è un fuoco che avrebbe divorato Gesù stesso. Lui ne è consapevole. Parla per questo della necessità per lui di un nuovo battesimo. Aveva già ricevuto quello di Giovanni, che compiva simbolicamente nell’acqua il passaggio dalla morte alla vita. Ora sente di dover accettare una nuova immersione in una morte che sia compimento per la vita.
Se sono pensieri come questi a spingere i passi verso Gerusalemme, non può esservi “pace” per lui e per chi lo segue sulla via.
Gesù interroga i nostri pensieri: quale pace attendiamo dalla sua venuta? Non può essere una pace “economica”, ma solo una comunione “a caro prezzo”. Ciò che noi chiamiamo pace, frutto di compromessi con i quali ciascuno si ritaglia e difende il proprio spazio, rischia di essere sempre alle spese di qualcun altro, sacrificato al sistema.
Chi accede a questa consapevolezza smaschera l’assetto radicalmente ingiusto della mondanità, pervasiva anche negli ambienti più religiosi: il suo non allinearsi è un’anomalia per il pensiero dominante, introduce una discontinuità pericolosa per la sopravvivenza del sistema stesso (cf. Sap 2). Sicché, sebbene sia motivato dall’anelito a una comunione più vera – ma in realtà proprio per questo –, crea divisione.
Il giusto Gesù, desiderando veder divampare la comunione del Regno, non potendo accettare di farsi complice di un sistema che sacrifica altri ai propri idoli e ai propri interessi, acconsente al sacrificio di se stesso. Lui, il Messia! Novità evangelica, paradossalmente sovversiva.
“D’ora innanzi” la divisione sarà inevitabile. Gesù qui cita Michea 7,6, ma accanto a ciò che vi trova – il tipico rivoltarsi del più giovane nei confronti del più anziano – aggiunge: “padre contro figlio … madre contro figlia … suocera contro nuora”. Non è questione generazionale, ma di apertura a una novità dirompente, che mette fuoco e incenerisce, perché solo attraverso una morte può alimentare la comunione della vera vita. Dunque, di opposizione tra vecchio e nuovo in ciascuno di noi, dove dobbiamo riconoscere la prima divisione, paradigma di tutte le altre (cf. Rm 7,14-25).
Il Signore, che infiamma i nostri cuori con il suo Spirito, ci conceda la sapienza di accettarlo e ci dia la forza di operare per la vera pace (cf. Mt 5,9; Gv 14,27).
fratel Fabio
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Non sono venuto a portare pace sulla terra, ma divisione.
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 12, 49-53
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto!
Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione. D’ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre; si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera».
Parola del Signore.