Chiamano bene il male e male il bene!
Come i parenti di Gesù nella pericope precedente, anche gli scribi di Gerusalemme accorrono, messi certo in allarme dai suoi comportamenti e dalle sue tensioni con le autorità locali. Rifiutandosi di ammettere che Gesù possieda veramente l’autorità divina di scacciare i demoni, i rappresentanti della dottrina ufficiale formulano un’ipotesi estrema: agisce per conto di Satana! Attenzione: gli scribi non negano – né lo potrebbero – che Gesù compia un’opera di liberazione delle persone. Semplicemente danno un’interpretazione distorta di tale realtà, in modo da disinnescare la forza che da essa promana e mette in questione loro stessi.
Poco importa a loro che Gesù compia i suoi atti in nome di Dio o in nome di Satana, come quando gli chiederanno: “Con che autorità fai queste cose?” (Mc 11,28). Cercano solo appigli per screditarlo. Il loro è un comportamento cinico, dettato da calcolo. In realtà dovrebbero sapere bene che l’azione di Gesù può venir solo da Dio, ma poiché ammetterlo significa rinunciare al loro potere, dicono il contrario: “chiamano bene il male e male il bene” (Is 5,20).
Non è a rischio solo la loro fama, oscurata da quella di Gesù, ma anche la loro credibilità come responsabili del popolo: chi è, in fondo, che tiene schiava tutta quella gente degli “spiriti impuri”, definendo i confini dell’impurità? Non forse proprio loro? Sull’infelicità del popolo questi uomini ci campano! Proprio mentre accusano Gesù di essere dalla parte di Satana, essi svolgono precisamente il ruolo di Satana, l’accusatore, che si interpone come ostacolo sulla via della comunione tra Dio e l’umanità.
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Alle accuse degli scribi Gesù risponde usando il solo linguaggio possibile in questi casi: quello delle parabole. Gesù sottolinea l’assurdità dell’accusa: se un regno o una casa sono divisi al proprio interno, al punto che chi ne fa parte agisce contro il suo interesse, quel regno o quella casa sarebbero alla fine. In realtà Satana è sì alla fine, lascia intendere Gesù, ma non perché il suo regno sia diviso, ché anzi la sua opposizione è ben netta e compatta, ma perché ormai la sua potenza “è legata”. Questo ci dice la parabola dell’uomo forte. Se Gesù ne saccheggia la casa con i suoi atti di liberazione è perché lo ha già legato e l’umanità non è più in suo potere; e questo perché, al di là delle sue apparenze umili Gesù è “il più forte” (cf. Mc 1,7). In quanto vincolato solo alla volontà del Padre, egli è libero e libera tutti gli altri dai vincoli che li rendono schiavi. La potenza di Satana è dunque vinta: la sua attività che pur resiste è solo il colpo di coda delle retroguardie!
Quanto agli scribi, Gesù li mette in guardia: non facciano tanto i gradassi, giocando con le parole, perché le parole sono una cosa seria: possono accecarci! Costruire una realtà parallela di cui siamo i primi a restare prigionieri. Gesù parlando di “bestemmia contro lo Spirito” intende probabilmente un accecamento volontario, come poi dirà spiegando il senso delle sue parabole attraverso la profezia di Isaia: “Perché guardino sì, ma non vedano” (Mc 4,12). È il peccato di chi non solo rifiuta la manifestazione di Dio, ma la rifiuta lucidamente e consapevolmente, al punto da capovolgere i segni di Dio contro Dio stesso. Dio certo perdona sempre, nulla c’è di imperdonabile per lui. Eppure chi agisce in questo modo si chiude all’offerta di salvezza che Dio fa in Gesù, non trova il perdono perché in radice non vuol essere perdonato, in quanto si sente già “a posto”. Attenzione, perché in forma e con intensità diversa, questo peccato tocca un po’ tutti, soprattutto noi, i cosiddetti “religiosi”.
Un fratello di Bose
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