L’onestà di lasciarsi spiazzare
Ci sono momenti e occasioni in cui tra amici, con poche essenziali parole, ci si comunica ciò che più ci sta a cuore, il desiderio vero, con tutto l’entusiasmo della scoperta del senso della vita.
L’ultima parte del I capitolo del Vangelo di Giovanni ci descrive questi incontri tra amici, con gli inviti reciproci a muoversi verso la meta della ricerca che ci abita: nel prosieguo del vangelo scopriamo poi che queste amicizie hanno al loro centro il Signore Gesù, colui che ci unisce e che unisce il cielo con la terra. Da Giovanni il Battista ad Andrea, a Simon Pietro, a Filippo, a Natanaele: una trasmissione a catena fa giungere fino a Gesù. Si va verso Gesù personalmente, però forse è solo in una “catena” di fraternità che potremo vedere cose “più grandi”, al di là delle nostre aspettative.
Con entusiasmo Filippo dice a Natanaele: “Abbiamo trovato…” (v. 45). Questo verbo al plurale presuppone che ci sia già una lunga storia che unisce queste persone (probabilmente amici, vista la fiducia con cui si parlano), persone accomunate dagli stessi ideali e dalle stesse attese, da un desiderio: trovare “colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i Profeti”.
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Natanaele conosce bene le Scritture e dubita che dalla Galilea possa venire il Messia, ma sa anche che del Messia non si conosce l’origine: questo paradosso forse inizia a far incrinare il suo pregiudizio, instilla un dubbio nelle sue certezze. Filippo e Natanaele si incontrano e tra loro parlano di Scrittura: è essa al centro della loro vita e dei loro pensieri, è la Torah a unirli nel profondo. E noi quali parole ci scambiamo, quali discorsi ci uniscono? Chi è al centro delle nostre relazioni?
Filippo non risponde entrando in una polemica di interpretazione scritturistica, non perde tempo a convincere con parole e argomentazioni, ma rivolge un invito esistenziale al suo amico, partendo dalla propria esperienza: “Vieni e vedi”.
Natanaele si muove, ma è Gesù che lo guarda e lo conosce (cf. Sal 139), è lui che lo cercava da prima e che lo trova: allora Natanaele si scopre visto nel profondo, vede svelata la propria vita e la propria ricerca di senso.
“Beati i puri di cuore perché vedranno Dio” (Mt 5,8). Natanaele è senza falsità, in lui non c’è doppiezza, perché pur legato – come ciascuno di noi – alle proprie idee, al proprio modo di interpretare la Scrittura e la vita, non ne resta prigioniero: con semplicità e fiducia si lascia smuovere e si muove verso l’incontro con Gesù. Il paradosso che Natanaele scopre (il figlio di Giuseppe di Nazaret è il compimento delle Scritture) non lo blocca ma lo spinge ad approfondire e a “vedere”: “Beato chi non trova in me motivo di scandalo” (Mt 11,6).
A questi primi discepoli Gesù fa una promessa che apre al futuro: citando il versetto di Gen 28 sintetizza tutto il suo cammino su cui lo seguiranno i suoi amici, coloro che accettano di rimanere in movimento dietro a lui. “Vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere …”: qui lo scendere viene dopo il salire, forse anche per dirci che il fine del nostro cammino di credenti è una discesa, un abbassamento, è spoliazione inattesa, non prevista. Il mezzo per scendere in queste profondità è Gesù: è lui la scala, una scala che unisce e che fa scendere. Perché Gesù compie sì le Scritture, ma al di là di come le comprendevano i suoi contemporanei e al di là di come anche noi le comprendiamo.
La realizzazione delle Scritture è sempre paradossale: anche nelle nostre vite esse possono realizzarsi in modo inatteso e imprevisto, sempre al di là delle nostre idee.
Siamo pronti alasciarci spiazzare e a cogliere i paradossi (a volte dolorosi) della vita come occasioni di conversione?
un fratello di Bose
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