Monastero di Bose – Commento al Vangelo del giorno – 23 Dicembre 2022

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Discernere i passi dello Spirito

“Che sarà mai questo bambino?”, un bambino al cui concepimento è stata tolta la vergogna della madre e alla cui nascita è stata esaltata la misericordia di Dio. Vergogna della sterilità, cioè del non poter dare spazio all’altro, del non poter dare all’amore il compimento di una vita nuova. E misericordia della fecondità, cioè del creare spazi per l’altro, del generare un altro da sé come compimento dell’accoglienza di un’alterità.

Un bambino alla cui circoncisione – iscrizione nella carne di un’alleanza eterna – avviene il miracolo di una ritrovata comunicazione, di un dialogo rinato tra il fedele servitore del tempio e la profezia. Zaccaria era rimasto muto e – così almeno ci lascia intuire l’episodio odierno – anche sordo per tutti i nove mesi della crescita di Giovanni nel grembo di Elisabetta. Impossibile comunicare con lui se non a gesti, impossibile per Giovanni, tessuto nel seno di sua madre, ascoltare la voce del padre, percepirne l’alterità.

Ma forse è proprio questo innaturale silenzio, questo inceppamento della comunicazione verbale ad affinare in Giovanni, fin dal seno di sua madre, una rara capacità di ascolto e, quindi, di discernimento. È l’assenza di parole paterne, il rarefarsi di voci familiari che rende il nascituro capace di riconoscere nel saluto di Maria a Elisabetta la voce dello Sposo, la fonte dell’esultanza per chi dello Sposo è amico. Discernimento affinato poi negli ultimi tre mesi vissuti nel clima della Visitazione, di quell’esperienza unica che mostra come il farsi prossimo dell’altro nel servizio gratuito favorisce l’incontro del mistero che ciascuno porta in sé, il riconoscimento reciproco dell’innata potenzialità di apertura all’altro che ciascuno possiede.

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Il discernimento, infatti – la capacità cioè di cogliere i percorsi di Dio nel cuore umano e nelle vicende della storia – dipende essenzialmente dal saper fare silenzio attorno a sé per affinare l’ascolto, per inclinare l’orecchio al minimo sussurro dello Spirito, per prestare attenzione al mistero che l’altro porta in sé e che già dialoga con quanto ciascuno cela nel proprio intimo. E, come il discernimento, anche la profezia dipende dalla capacità di ascolto: nessun profeta parla da sé stesso, bensì annuncia ciò che a sua volta ha udito nella docilità al Dio totalmente altro che si rivela a chi lo voglia ascoltare, all’Altro che ha voce forte come tuono ma che può essere capito solo se prima e al di là del tuono si presta l’orecchio al silenzio trattenuto di una brezza leggera.

È dunque grazie all’ascolto della voce del saluto di Maria a Elisabetta che Giovanni imparerà a discernere la voce del Padre che è nei cieli al momento del battesimo di Gesù e a divenire a propria volta voce che grida nel deserto e sulle piazze, davanti a peccatori pentiti e a potenti induriti nella sordità, fino ad affievolirsi, a diminuire, a ridursi a interrogativo messianico (“Sei tu colui che deve venire?”) o a dito che esclama “Ecco l’Agnello di Dio!”.

Ed è grazie alla mano del Signore che è con lui che Giovanni crescerà nel deserto, nel quotidiano ascolto di una parola che risuonerà nel luogo di prova e di tentazione, ma anche di fidanzamento tra Dio e il suo popolo: lì Giovanni apprenderà il linguaggio che Dio usa con gli uomini, fino a divenire intimo, amico di quello Sposo che altri non è che la Parola fatta carne nel mistero dell’incarnazione che stiamo per celebrare, altri non è che il farsi uomo dell’ininterrotto discorso di pace e vita piena che Dio ha voluto tessere con l’umanità intera che egli ama.

fratel Guido

Per gentile concessione del Monastero di Bose

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