Il sospetto che è in noi
Un dubbio: non è che tendo a vedere negli altri ciò che si agita in me? I demoni con i quali facciamo i conti in noi ci impediscono di cogliere la novità che si fa strada in altri. Perché ci difendiamo dal bello che affiora attorno a noi, guardandolo a partire dal sospetto che è in noi?
Partiamo dai fatti che riguardano Gesù, per quanto è possibile accedere a essi attraverso la mediazione della testimonianza evangelica, prima di riconsiderare le interpretazioni dei suoi contemporanei, per come ci sono riportate dal vangelo di oggi, a nostro ammonimento.
Dove passava Gesù si constatava un arretramento delle tante forme di male che disumanizzavano le persone, abituate a intendere le realtà sulle quali non regnava Dio come colonizzate da Satana e dai suoi demoni. L’incontro con Gesù avevail potere di restituire queste persone a sé stesse, di aiutarle a recuperare la loro umanità.
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Qui c’è una novità, c’è qualcosa di bello, che però nella lettura che alcuni ne fanno non viene colto con semplicità, anzi viene ribaltato di segno. “Costui è posseduto da Beelzebul e scaccia i demoni per mezzo del capo dei demoni”. Dicono così, incapaci come sono di ammettere una vera alternativa al male per come lo conoscono; come se non ci potesse essere alcuna novità che viene da Dio. E noi talvolta come loro, siamo condizionati da quel sospetto verso Dio che sin dall’in principio si alimenta del nostro dialogo con il serpente (cf. Gen 3,1 ss.).
Ripensiamo al vangelo di venerdì scorso: il potere di scacciare i demoni dato ai dodici è una nuova possibilità accordata da un altro (cf. Mc 3,15). Liberarsi e liberare dai demoni, come resistere alla voce del serpente, è grazia sempre rinnovata che viene da un Dio al quale, infine, non guardiamo più con sospetto.
La diffidenza radicale nei confronti di Gesù, il tentativo di screditarlo, non emerge solamente nelle calunnie degli scribi; è di tutti, a partire dai più vicini per legami di sangue: tutti tentati di etichettare “follia” o “male” ciò che è per il bene. Per questo l’evangelista Marco ha agganciato il brano odierno sugli scribi a quello letto sabato sui parenti.
Come Gesù cerca di aiutarli? Se gli uni e gli altri parlano di lui alla terza persona senza interpellarlo – “È fuori di sé”, “È posseduto” (vv. 21, 22 e 30) –, lui li interpella rivolgendosi oggi agli scribi, benché indirettamente, parlando “in parabole”. Tiene cioè aperto il confronto e sa impiegare immagini che dialogano con le categorie usate dai suoi interlocutori. Lo fa per invitarli anzitutto a pensare a ciò che dicono; e poi per annunciare, a chi può intenderlo, una fine che è nuovo inizio. Questo è possibile nello Spirito santo il quale – come prega in un’orazione la liturgia romana – “è la remissione di tutti i peccati”.
Non c’è peccato a cui questo Signore si rassegni. Gesù sa che si può essere posseduti da uno spirito impuro, ma confida in uno Spirito più forte disceso su di lui (cf. Mc 1,10). Pertanto ciò che più teme è la chiusura definitiva all’azione dello Spirito santo: solo tale eventualità pare irrimediabile, sarebbe misconoscere il proprio divenire e inchiodarsi in eterno alla propria bestemmia. Al contrario, il perdono può sempre restituirci alla nostra libertà e al nostro valore: siamo noi i “beni” che il Signore Gesù, “il più forte”, vuole “saccheggiare”!
fratel Fabio
Per gentile concessione del Monastero di Bose
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