La settimana di preghiera per l’unità dei cristiani si conclude facendo memoria della rivelazione di Gesù a Paolo apostolo. Non casualmente, ma a sottolineare alcuni tratti imprescindibili di una esperienza che accomuna tutte le confessioni cristiane.
L’esperienza dell’incontro. Il discepolo e le chiese nascono da una libera e gratuita decisione di Dio di farsi vicino attraverso la voce del Figlio che chiama per nome: “Udii una voce che mi diceva: ‘Saulo, Saulo, perché mi perseguiti’? Io risposi: ‘Chi sei, o Signore?’. Io sono Gesù il Nazareno’ … ‘Che devo fare, Signore?’. ‘Alzati e prosegui’” (At 22,7-10), ti verrà detto. La vocazione di Paolo, straordinaria, diventa illustrazione di ogni vocazione cristiana, in sé unica e insostituibile: un Altro da te si fa vicino a te, ti strappa dal tuo prima mentale e comportamentale, ti introduce in nuovi orizzonti. Non tutti gli incontri si equivalgono, questo per Paolo, e altresì per ogni discepolo e chiesa, è stato ed è l’incontro determinante che segna una vita, evento di purissima grazia (cf. Gal 1,11-17), l’incontro sognato.
L’esperienza dell’invio. La rivelazione di Gesù a Paolo è in vista della rivelazione di Gesù alle genti da parte di Paolo. L’incontrato è l’inviato a raccontare Gesù come “vangelo di Dio” (Rm 1,4), musica di Dio (cf. Lc 7,32), peso dolce e leggero di Dio (cf. Mt 11,28-30) al mondo intero. Mondo da sempre alle prese con la questione Dio e il suo pensarlo e immaginarlo. Dio infinitamente buono, che vuole infinitamente bene, che si dice in Gesù, apparizione della “bontà di Dio” (Rm 2,4) e della “grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini” (Tt 2,13). Amore fino al dono di sé che nessuno esclude, compreso l’empio (cf. Rm 6,6-8) − e chi non lo è −, scandalo e follia (cf. 1Cor 1,22-25). Mondo inoltre da sempre alle prese con la domanda: “Che cosa è l’uomo”, quale la sua ineffabile, nascosta verità? A essa è iniziazione l’uomo Gesù, il nuovo Adamo (cf. Rm 5,12-21) nel quale leggere se stessi, a sua immagine (cf. Rm 8,29), creature nuove (cf. Ef 4,24; Gal 6,15) a misura della statura di Cristo (cf. Ef 4,13): figli e figlie di Dio, mandati alla terra per amarla come il Padre in Cristo, uomini e creato, attesi, compiuta l’opera, nell’eternità del Padre e del Figlio assieme all’universo intero (cf. Rm 8,14-25). Ciascuno e ciascuna chiesa nell’invio di Paolo leggano il perché del proprio esserci: non privare la terra della buona notizia di Cristo, quindi non anteporre nulla alla conoscenza di Cristo (cf. Fil 3,8), nel quale viene incontro il volto vero di Dio e dell’uomo.
L’esperienza della debolezza. Tutto questo nella consapevolezza della propria debolezza. Con Paolo possiamo sottoscrivere: “Noi però abbiamo questo tesoro in vasi di creta” (2Cor 4,7), non ci resta che offrirgli la nostra debolezza perché in essa appaia la potenza del Cristo (cf. 2Cor 12,7-10). Così come non ci resta che offrire la nostra infedeltà ai suoi perdoni, per sempre nuovi cominciamenti. Chiese unite nel sapersi umanità incontrata e inviata ad annunciare il vangelo di Dio che è Cristo, in una debolezza e in una infedeltà aperta al “Ti basta la mia grazia” (2Cor 12,9), la mia forza e il mio perdono.
fratel Giancarlo
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