Monastero di Bose – Commento al Vangelo del giorno – 22 Ottobre 2022

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Come una secchiata di acqua fredda

All’alba del sabato ci risveglia all’improvviso una parola di Gesù, un duro monito, come una secchiata di acqua fredda, ci risveglia di colpo e ci fa abbandonare la sonnolenza che ci abita.

Si narra di fatti apparentemente lontani che interpellano solo l’uditorio di Gesù, ma le sue parole destano le coscienze e chiamano a conversione. Noi invece, come gli astanti, impoveriamo quanto accade, riducendo tutto a puri fatti di cronaca, tema dei loro e nostri salotti del nulla dove è gradito ospite il gusto di addossare gli uni agli altri la colpa, senza minimamente mettere in questione noi stessi.

Pilato uccide dei Galilei che stavano compiendo i loro sacrifici cultuali, sono forse più peccatori di altri? Gesù lo narra; e gli ascoltatori? Credenti di ogni fede vengono uccisi, imprigionati torturati, perché il loro credo è osteggiato dal regime al potere, e noi?

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Cade una torre, muoiono diciotto operai: che cosa pensate – chiede Gesù – “che quelli fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme?”.

Si è sordi, si è ciechi, si è addormentati enon si coglie il vero messaggio che parla, a volte grida, dai fatti della storia: appello urgente alla nostra conversione.

Crolli di ponti, di macchinari, continuano, muoiono giovani apprendisti e “leggendo del crollo della torre di Siloe, andiamo alle immagini di un altro crollo, quello di due torri, di un 11 settembre, dopo il quale, si diceva, nulla sarebbe stato più come prima e invece? Ma di quelle vite spezzate, di quelle torri abbiamo fatto semplicemente occasione di cronaca, occasione di dibattiti, di salotti. Non abbiamo percepito l’appello alla conversione. “Se non vi convertirete”, dice Gesù, “perirete tutti allo stesso modo”. Non perché Dio mescoli sangue a sangue, non perché Dio faccia crollare le torri, ma perché vita e società, fondate come casa sulla sabbia, non hanno altro esito possibile se non quello di un crollo pauroso. “La sua rovina” – è scritto della casa – “fu grande” (Mt 7, 27).” (A. Casati)

Dio non vuole il nostro male, ma noi rivestiti di uno scafandro evitiamo il contatto con la realtà, lentamente lasciamo addormentare le nostre coscienze, non sappiamo più interrogare né Dio, né noi stessi, né i segni dei tempi.

Eppure Dio continua a rinnovare misericordia e non giudizio, speranza di un dolce domani non di un futuro di morte. La sua impenitente pazienza è quella del padrone della parabola. Spesso noi passiamo il tempo a sfruttare terreni, senza dar frutti e al contempo, come i vignaioli, siamo impazienti verso il ritardo o l’assenza dei frutti degli altri. Saremmo portati a tagliare, gettare nel fuoco, come siamo pronti a condannare.

Dio prende la zappa, dissoda il terreno, lo concima e attende: ci attende! Dona un anno di misericordia, affinché continuiamo a sperare contro ogni speranza, a credere che ognuno può ricominciare, che un domani è possibile per tutti. Non ha fretta di giudicare, noi sì; la zappa della sua misericordia è sempre pronta e scalza l’ascia del giudizio che teniamo in mano. Se il fico poi non portasse frutto non sarà lui a usare l’ascia: “se no lo taglierai”.

Forse se pensassimo per un attimo che siamo noi il fico sterile, apprezzeremmo quella secchiata d’acqua fresca che ci ha risvegliati stamani per farci assaporare la tenerezza della zappa di Dio che sta dissodando il nostro terreno.

fratel Michele

Per gentile concessione del Monastero di Bose

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