Monastero di Bose – Commento al Vangelo del giorno – 22 Ottobre 2020

“A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più”.

Il nostro brano di oggi si apre subito dopo questa dichiarazione di Gesù. Lui che ha saputo accogliere l’amore del Padre (“Questo è il figlio mio, l’eletto”: Lc 9,35), vive come colui al quale è stato dato molto e a cui sarà richiesto molto di più. Ha assunto la sua responsabilità non come un fardello o un dovere imperativo proveniente da un’autorità punitiva alla quale non può sottrarsi, ma come la necessità dell’amore che condivide pienamente col Padre suo.

Gesù ha fretta di compiere la missione annunciata dal suo maestro e precursore: Giovanni. “Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco… e brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile” (Lc 3,16-17).

Il fuoco che è venuto a gettare sulla terra sta bruciando prima di tutto il suo cuore e nel suo cuore. È il fuoco della Torah ricevuta insieme al suo popolo ai piedi del Sinai (cf. Dt 33,2). Una Torah, cioè un insegnamento di vita per la vita che è prima di tutto fuoco dell’amore e fuoco del giudizio di Dio. Un giudizio tremendo che mette in croce il peccato e la morte per salvarci dall’angoscia della morte e proporci una via di liberazione dal peccato. La nostra paglia sarà bruciata nel fuoco del suo amore. Cogliamo queste parole di speranza: allora “conoscerò perfettamente, come anch’io sono conosciuto” (1Cor 13,12). L’evangelista Giovanni lo dice in un altro modo: “Sappiamo che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è” (1Gv 3,2).

Attraverso la confessione della sua missione percepiamo il desiderio profondo, la tensione di fede che anima Gesù a tal punto da accettare il battesimo nel quale sarà battezzato: le acque della morte che lo travolgeranno. Nella fede e nella fiducia totale e abissale in Dio sa che è l’unico modo che l’amore ha per portare alla nostra umanità ferita la via della resurrezione: l’amore di Dio più forte della morte e del nostro peccato. La sua angoscia non è su se stesso come la nostra, ma è nel rispondere al più presto al desiderio condiviso con il Padre suo, per noi. Sa benissimo che la sua salvezza è paradossale davanti alle logiche mondane. Ci aspettiamo spesso un Dio prepotente che risponda al male con la distruzione e la violenza, ma il Dio di Gesù risponde al male con l’amore, alla violenza nostra con l’esigenza dell’amore, fino al nemico.

Questa esigenza è offerta al discepolo, nella libertà della sequela: “Dico a voi, amici miei: non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo e dopo questo non possono fare più nulla” (Lc 12,4). È la stessa esigenza che lo porta a dire: “Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No io vi dico, ma divisione”. Egli constata con dolore che davanti a un amore così esigente, la gente si ribella, il divisore agisce nei cuori per allontanarli da lui, al prezzo della pace familiare. Il Signore con la voce del profeta Malachia aveva annunciato una sua promessa: “Elia convertirà il cuore dei padri verso i figli e il cuore dei figli verso i padri” (Ml 3,23), ma Gesù sa che soltanto il fuoco e l’acqua del suo battesimo potranno portare a compimento la sua missione di pace.

sorella Sylvi


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