Monastero di Bose – Commento al Vangelo del giorno – 21 Settembre 2021

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Una scena scarna di elementi: il movimento che si contrappone alla staticità. Un flusso di vita che sfiora la stagnazione mortifera. Il nuovo, ignoto, si staglia sull’antico, già noto. L’evangelista Matteo, di cui oggi facciamo memoria, non indugia su particolari, su lunghe descrizioni di eventi straordinari: due uomini, uno in piedi, guarda e chiama, l’altro seduto sente e si alza. L’uno riconosce nell’altro la Vita, in un lampo, in un fulmineo istante è racchiusa ciò che definiamo la “chiamata”: un silenzioso, impercettibile sguardo.

Gesù, nell’anonimato e nel silenzio di ogni singola vita opera il miracolo di uno sguardo potente, che raggiunge le profondità del nostro essere, il nostro cuore e ci guarisce aprendoci la possibilità di una novità. Matteo ha il suo posto riservato, una zona protetta: il tavolo, posizione privilegiata, dalla quale può collaborare con il potere straniero. Così è visto e guardato dai suoi concittadini: un collaboratore del nemico, capace di imbrogli, di operazioni illecite.

Lì però è anche visto dall’uomo Gesù: “Gesù vide un uomo” (v. 9), lì è raggiunto da quello sguardo e proprio quel luogo egli lascia intravedendo una possibilità di vita. Gesù con quello sguardo lo richiama alla vita e Matteo “si alza” (cf. v. 9). Matteo lascia la stabilità della sua sedia per la precarietà della strada, si assume il rischio del cammino con una nuova direzione, sconosciuta: questa è la sua guarigione. Fa fiducia a quello sguardo che ha il potere di rialzarlo e lo invita alla sequela: “Seguimi” (v. 9), sulla stessa via, esercitando lo stesso sguardo.

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“Guardare” ciò che agli occhi di tutti è impuro, inguardabile, peccatore: questa è la via percorsa da Gesù. Nessuno rimane non guardato agli occhi di Gesù, nessuno rimane escluso dall’ampiezza del suo sguardo. Ogni uomo e donna raggiunti da tale sguardo riacquistano dignità. Lo sguardo di Gesù guarisce le vite, troppo spesso invece i nostri sguardi infliggono ferite, emettono sentenze inappellabili! Noi neghiamo lo sguardo, lo distogliamo dalla realtà, da un volto sofferente perché ci rimanderebbero alla nostra responsabilità di fronte all’altro, agli altri tutti. Non vedere è negarne l’esistenza!

Così come i farisei che sono attorno a Gesù: “vedendo ciò” (v. 11), anch’essi guardano e vedono, ma i loro occhi si fermano alla superficie e ciò suscita la mormorazione, il dire male, il giudizio. Uno sguardo superficiale è offuscato dai pregiudizi, cui seguono sospetti, critiche, divisioni. Lo sguardo di Gesù invece va in profondità, vede le ferite, i sensi di colpa, vede le fragilità. Gesù vede prima di tutto l’uomo, la donna, il suo sguardo penetra nel loro cuore e vi scorge la loro verità. Riconosce il loro desiderio, vede la loro bellezza, e a tutto ciò, a questa unità-unicità complessa che egli ha di fronte riserva uno sguardo attento, che sa discernere, che accoglie e attende. Uno sguardo che è abitato dalla misericordia, che è volontà del Padre: “Misericordia io voglio” (v. 13; cf. Os 6,6).

Questa è la volontà del Padre e la chiamata-mandato per ciascuno e ciascuna: vivere dello sguardo misericordioso del Padre e rivolgere questo medesimo sguardo a ogni essere umano che incontriamo. Guardati da questo sguardo siamo resi nuovi, “possiamo” una vita nuova, rinnovata dalla misericordia e capace di misericordia. Qualsiasi divisione o distanza possa esserci con l’altro, Gesù ci chiama a uno sguardo che sa raggiungere e aprire a tutti, nessuno escluso, lo spazio di comunione e condivisione alla sua tavola.

sorella Elisa


Fonte

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