Discernere questo tempo
Il brano su cui sostiamo oggi si apre con la stigmatizzazione, da parte di Gesù, di una contraddizione esistenziale: le folle sono accusate di saper osservare il tempo meteorologico, ma di rimanere cieche di fronte al tempo storico, che è anche il tempo “teologico”, il tempo della salvezza (cf. vv. 54-56). Questo è il tempo di Gesù, ma chi se ne accorge? Tutti si interessano del tempo che fa e sanno interpretare “la faccia della terra e del cielo” (v. 56), ovvero “il tempo” (meteorologico), ma non sanno interpretare “questo tempo” – cioè il kairós della vita di Gesù fra gli uomini e l’avanzare della storia della salvezza – e la sua qualitativa diversità.
Il tono è molto duro, come indica il vocativo “ipocriti!”, e la domanda retorica è sferzante: “Com’è che non sapete …?” (v. 56). Luca chiama “ipocriti” coloro che non sanno operare questo discernimento del tempo: qui non si tratta quindi di chi dissimula, ma di chi fa prova di duplicità in materia di giudizio. Ciò che è colpevole è l’ignoranza di costoro, che non sanno aprire gli occhi sul proprio tempo, che non esercitano una duplice attenzione: alla natura e alla storia, per discernervi l’ora di Dio, il tempo del Signore.
Segue una nuova domanda retorica e critica: “Perché non riuscite voi stessi a discernere ciò che è giusto?” (v. 57). A un primo livello, Gesù non dice esplicitamente che riconoscere “ciò che è giusto” significa fare una scelta radicale per lui; può trattarsi semplicemente della contrapposizione tra i fenomeni – che gli uditori di Gesù sanno interpretare – e i giusti rapporti fra gli uomini, la giustizia sociale che chiede impegno e lotta: sono ipocriti perché, pur sapendo ciò che è giusto, non si coinvolgono per attuarlo.
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Nella stessa direzione, ma a un livello più profondo, non si deve dimenticare che, per la Scrittura, “ciò che è giusto” non è tanto la giustizia sociale come la comprendiamo noi oggi, quanto ciò che corrisponde alla volontà di Dio, alla sua alleanza e al suo piano di salvezza. Luca esorta dunque, a un primo livello, a trasformare la nostra lettura della storia (cf. v. 56) in una lettura etica (cf. v. 57): osare portare il proprio sguardo sugli avvenimenti contemporanei è già un primo atto morale, valutarli è un secondo, e darvi seguito con il proprio impegno è un terzo.
Nel contesto del v. 57, però, si deve anche dare a “ciò che è giusto” una dimensione cristologica: perché le folle non percepiscono, di fronte a Gesù, che non stanno solo davanti a ciò che è giusto, ma davanti al Giusto?
La breve parabola finale (cf. vv. 58-59) rivela alla folla l’orientamento che l’oggi la invita a prendere: sei in cammino, ma non sei sola; cammini con un avversario che ti porta davanti al tribunale per ottenere la tua condanna. Si tratta di un tribunale chiamato ad aiutarti a discernere “ciò che è giusto”, ovvero il giudizio di Dio. Siamo di fronte a una parabola audace, dunque, che fa di Dio l’avversario con il quale si cammina. In situazioni come questa gli uomini cercano, mentre sono per strada, di aggiustarsi (“trovare un accordo”: v. 58) con il loro avversario, letteralmente di “sbarazzarsi” di lui in tutti i modi (cf. v. 58). Ma come “sbarazzarsi dell’avversario”? Ovvero come permettere a Dio di ritornare ad essere il nostro alleato, il “Dio con noi”? La conversione, il ritorno a Dio, è l’invito che questo tempo, correttamente inteso, rivolge agli uditori di Gesù. Solo la conversione trasforma la nostra immagine del reale e ci avvicina allo sguardo di Dio sulla realtà, sul mondo, sulla storia.
fratel Matteo
Per gentile concessione del Monastero di Bose
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