Uno sguardo diverso sulla nostra storia
Gesù ha appena cercato di insegnare ai discepoli uno sguardo diverso sulla realtà del mondo che li circonda. Ha rivelato loro che un gesto apparentemente insignificante, come quello di una povera vedova che ha dato i suoi ultimi spiccioli, è in realtà più autentico, più carico di valore agli occhi di Dio, di tante offerte di ricchi e di tante liturgie e riti solenni che si compiono incessantemente nel tempio di Gerusalemme… Ed ecco che “alcuni” – probabilmente ancora dei discepoli (cf. Mc 13,1) – si affrettano a cambiare argomento. Forse sentono che il tono del discorso rischia di diventare impegnativo e gravido di conseguenze per loro. Forse Gesù sta chiedendo anche a loro di comportarsi allo stesso modo? E così distolgono in fretta lo sguardo da quella vedova per volgerlo di nuovo sulle “belle pietre” e sui “doni votivi” che adornano il tempio!
La rapidità del cambiamento e la diversità di prospettiva impressionano. Questo la dice lunga sul modo in cui i discepoli, nonostante gli sforzi di Gesù, restano “ciechi” e ottusi nel loro modo di vedere e di pensare. E qui non possiamo evitare di porci una domanda scomoda: tanti anni di vita cristiana hanno cambiato – almeno un po’ – il nostro sguardo sul mondo, sulla storia e sulla vita? Oppure anche noi ci lasciamo sempre abbagliare da quello che fa rumore e attira gli sguardi, trascurando quel che resta nell’ombra, defilato, nascosto, che spesso è più grande e più essenziale di tutto il resto? Ci ricordiamo, come ci ha detto Gesù, che in questo mondo il regno di Dio resterà sempre piccolo “come un granellino di senape” (Lc 13,19) e non potrà mai dare spettacolo (cf. Lc 17,21)?
Con il suo discorso cosiddetto “escatologico”, che inizia con questi versetti e proseguirà fino al termine del capitolo 21, Gesù, più che rispondere ai pruriti di curiosità sul “quando” e sui “segni” della fine di Gerusalemme (cf. v. 7), essenzialmente vuole comunicarci uno sguardo diverso sulla nostra storia e sulla nostra vita, uno sguardo sostenuto dalla fede e dalla speranza, e reso penetrante dalla vigilanza. Vuole metterci in guardia contro il rischio di allarmismi apocalitticio di illusioni pseudo-messianiche, immersi come siamo in una storia in cui sembrano costantemente prevalere la menzogna, la violenza e gli sconvolgimenti di ogni tipo. Se da una parte, con lucidità, Gesù annuncia che anche dopo di lui continueranno ad accadere eventi dolorosi, come guerre, rivoluzioni, terremoti, carestie e pestilenze… allo stesso tempo nega che essi siano i segni di una fine imminente (“non sarà subito la fine”, v. 9). E neppure la distruzione del tempio di Gerusalemme sarà la fine di tutto.
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Sono tutti eventi che da sempre fanno parte della storia e da sempre invitano l’umanità a interrogarsi sulla propria finitezza. Se da una parte indicano che il mondo, così com’è, lasciato alle sue sole forze, è irrimediabilmente sottomesso alla precarietà e va verso la sua fine, dall’altra parte, in una prospettiva di fede, Gesù invita anche a leggerli come le “doglie del parto” di un mondo nuovo (cf. Mc 13,8), che preparano e invocano una nascita che può venire solo da Dio.
Il credente che nella sua preghiera quotidiana ha imparato a invocare con fiducia il Regno di Dio (“Venga il tuo Regno!”) non deve lasciarsi turbare né atterrire, ma credere che la storia resta sotto il segno di un preciso disegno di Dio (come indica al v. 9 il deî, “è necessario”, usato anche per gli annunci della passione: cf. ad es. Lc 9,22). Soprattutto deve credere che l’unico Messia, Gesù, è già venuto e non dobbiamo attenderne un altro prima del suo ritorno (cf. Lc 7,19), perché lui solo ha potuto dire con verità e autorità le parole: “Sono io” e “Il tempo è vicino” (cf. Mc 1,15; 6,51). Quando verrà di nuovo, non avrà bisogno di ripeterle, perché tutti lo vedranno e lo riconosceranno (cf. Lc 21,27; Ap 1,7).
Con Gesù, il tempo della prossimità di Dio è quello che già qui ci è dato di vivere, seppure per frammenti, a partire dai piccoli gesti quotidiani, come quello della povera vedova. Ma nulla e nessuno ha il potere – a meno che non vogliamo darglielo noi – di gettarci nella paura e di distoglierci dal fissare il nostro sguardo su di lui, “l’autore e perfezionatore della fede” (Eb 12,2), perché, come dice l’Apostolo, “nulla potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore” (Rm 8,39).
un monaco di bose
Per gentile concessione del Monastero di Bose
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