“Che io veda!”
Gesù sta attraversando Gerico in cammino verso Gerusalemme. Ai Dodici, chiamati in disparte, confida ciò di cui egli è pienamente consapevole, la sua consegna ai pagani, alla derisione, all’insulto, allo sputo e alla flagellazione, capitoli che precedono e preparano l’uccisione e la resurrezione il terzo giorno. Un messaggio duro in sintonia con quanto detto dai profeti circa il destino del Figlio dell’uomo e del Servo di JHWH (cf. Dn 7,13; Is 53) con i quali Gesù si identifica.
È il terzo annuncio della passione: il primo lo troviamo in Luca 9,22 e il secondo in Lc 9,43-45. Un annuncio al quale i suoi rispondono con il non comprendere, con il non cogliere il senso di parole che restano misteriose e che incutono la paura di interrogare e di approfondire (cf. Lc 9,45).
È in gioco infatti l’immagine del Figlio, e in lui di colui che lo ha inviato all’umanità a rivelarlo, e cogliere in un crocifisso bestemmiatore (cf. Mc 14,64), sobillatore (cf. Lc 23,2) e malfattore (cf. Gv 18,30) la “sublime conoscenza” (Fil 3,8) del Messia e di Dio suo Padre è davvero scandalo e follia (cf. 1Cor 1,23).
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Viene contraddetto l’immaginario umano dell’onnipotenza e della giustizia di Dio, onnipotente in un amore che non colpisce chi lo ferisce ingiustamente donandogli in cambio il suo perdono: “Padre, perdona loro” (Lc 23,34), forza capace di sradicare un cuore omicida sostituendolo con un cuore che guarda con fiducia, speranza e amore chi lo uccide.
Questa la giustizia di Dio, un amore-giustizia che culmina nella resurrezione del testimone fedele (cf. Ap 1,5. Non resta che identificarci con i Dodici nel nostro non capire, nella nostra cecità circa il modo di porsi di Dio e del suo inviato, non resta che riconoscerci bisognosi di luce.
Non a caso all’annuncio della passione non compresa segue l’evento della guarigione di un cieco, una illuminazione desiderata, invocata e donata. Un cieco al bordo della strada, immobile, non in cammino, con gli orecchi attenti a cogliere ogni segnale insolito, in questo caso il passaggio di molta gente, la richiesta di che cosa significasse tutto questo: “Passa Gesù”.
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E il desiderio di guarigione mai venuto meno diventa grido che niente e nessuno può trattenere e interrompere: “Gesù, figlio di David, abbi pietà di me”, l’invocazione stessa dei lebbrosi (cf. Lc 17,13) che nella tradizione orante cristiana diventerà la “preghiera del cuore”. Un grido che smuove le viscere di compassione di Gesù, che ne arresta il cammino e che si fa vicino rendendosi pura disponibilità: “Che cosa vuoi che io faccia per te?”, “Che io veda di nuovo”, che il mio sguardo da abbassato si innalzi.
Un incontro di desideri, di essere guarito e di offrire guarigione, e in Gesù è il Padre stesso a salvare. Un cammino di fede, questo del cieco, illustrativo del nostro: aprire bene gli orecchi a chi informa di un incontro il cui esito è l’illuminazione, tale da convertire l’immobilità, la stagnazione, in cammino in compagnia della Luce, tale da convertire la preghiera di domanda in inno di lode.
Resi veggenti circa Dio luce (cf. 1Gv 1,5) in Cristo luce (cf. Gv 8,12) e circa noi stessi come figli della luce (cf. Gv 12,36): amati dalla Luce e inviati dalla Luce ad amare come amati, lasciandoci ferire dal grido del povero ai margini della vita. Questo è essere passati dalla tenebra alla luce, è guarigione.
fratel Giancarlo
Per gentile concessione del Monastero di Bose
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