La gente è assetata di miracoli, è calamitata dal prodigioso, ieri come oggi. Quali “infermi affetti da varie malattie” anche noi, come ai tempi di Gesù, accorriamo presso lo sciamano o il guru di turno nelle ore più impensabili – “al calar del sole” o “sul far del giorno” – e in qualsiasi luogo – persino “in un luogo deserto” –, pur di trovare un minimo di ristoro alle nostre vite, pur di alleviare almeno un poco il dolore, fisico o psichico che sia, pur di alleggerire pesanti fardelli che opprimono il corpo e spossano lo spirito.
Come ci ricorda Fëdor Dostoevskij nella Leggenda del grande inquisitore, “l’uomo cerca non tanto Dio quanto i miracoli. E siccome l’uomo non ha la forza di rinunziare al miracolo, così si creerà dei nuovi miracoli, suoi propri, e si inchinerà al prodigio di un mago, ai sortilegi di una fattucchiera, foss’egli anche cento volte ribelle, eretico ed ateo”. Pur di illuderci, disperati, di risolvere magicamente le nostre e altrui sventure, pur di alleggerire i nostri sensi di colpa, pur di colmare vuoti per natura incolmabili, rinunciamo al bene più prezioso che Gesù stesso ci ha insegnato nel superare le tre tentazioni-seduzioni: la libertà. “Non volesti asservire l’uomo con il miracolo, e avevi sete di fede libera, non fondata sul prodigio. Avevi sete di un amore libero, e non dei servili entusiasmi dello schiavo davanti alla potenza che l’ha per sempre riempito di terrore”, dice ancora il grande inquisitore a Gesù stesso ritornato sulla terra dopo millecinquecento anni nel capolavoro dello scrittore russo.
Gesù in tutto il suo ministero itinerante cura malattie e infermità, e in alcuni casi guarisce, ma i gesti che compie non hanno nulla di magico. Gesù non levita gonfiando a dismisura il suo ego ma si avvicina, si fa prossimo, con delicatezza si inchina come nel caso della suocera di Simone: “Se mi inchino, mi testimonio come principiante e fragile, bisognoso di fare tana in terra … Mi inchino per imparare a esitare, a sostare nel non sapere di te, lasciare che tu riveli chi sei” (Chandra Livia Candiani).
Gesù non muove le cose a distanza come un burattinaio ma semplicemente tocca i corpi piagati imponendo le mani della benedizione e della benevolenza divina. Non recita formule magiche ma racconta parabole liberatrici, cura con lo sguardo amorevole e con parole cordiali e autorevoli. In Gesù non vi è autocelebrazione, egli non si attribuisce nessun potere da santone, perciò minaccia, rimprovera, rampogna i demoni acerbamente, vietando loro di non proferir parola sulla sua identità: adoratori del prodigioso, essi vogliono sdoppiare la divinità dall’umanità di Gesù, ma Gesù è integralmente figlio di Dio e figlio dell’uomo, e solo la croce e la resurrezione lo potranno svelare.
Gesù suscita la fiducia nelle persone e tale fiducia fa fiorire da sé la vita, Gesù infonde coraggio e rafforza l’autostima dei disprezzati e offre loro l’occasione propizia e la forza per rialzarsi dai loro lettucci non più schiacciati dall’emarginazione sociale. Gesù non usa pozioni magiche ma impasta terra e saliva, non trasforma le pietre in pani ma con-divide il pane impastato, cotto e sfornato, senza saltare o violentare i processi lenti della natura. Gesù non è una risposta al nostro imperante “tutto e subito” e sfugge a chi vuole trattenerlo per sé come un corno portafortuna: annunciare il regno di Dio all’umanità intera è la sua sete, sete di libertà che libera.
fratel Giandomenico
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