Digiuno, vino e abito nuovi
La tavola è per Gesù luogo privilegiato di incontro e di racconto, ove tra un boccone di pane e un calice di vino si affrontano i temi più variegati con persone le più diversificate. Tanto da essere considerato “ un mangione e un beone, un amico dei pubblicani e dei peccatori” (Mt 11,19), questo il contesto in cui vanno inseriti i versetti del Vangelo odierno, un banchetto in casa di Matteo il pubblicano in seguito alla sua chiamata con pubblicani, peccatori e discepoli. Pasto con i fuorilegge in obbedienza al principio: “Misericordia voglio e non sacrificio” (Mt 9,9.13).
Questa la differenza tra Gesù e i benpensanti: questi ultimi legano il comportarsi bene all’essere degni della loro compagnia a tavola, il primo nel sedersi a tavola con loro rivela la sua volontà di bene nei loro confronti, e chissà che qualcosa non cambi. Ad un certo punto i discepoli di Giovanni che osservavano a distanza si avvicinano e dicono a Gesù: “Perché noi e i farisei digiuniamo molte volte, mentre i tuoi discepoli non digiunano?” (Mt 9,14).
A dire il vero la Torah, la Legge, prescriveva un solo giorno di digiuno all’anno, lo Yom Kippur, il Giorno dell’espiazione, ma discepoli di Giovanni e farisei ne estesero la pratica al lunedì, al giovedì e altre circostanze. Pratica ascetica che favorisce l’avvicinarsi del Regno di Dio ove finalmente si digiunerà dal male e dalla morte.
- Pubblicità -
Gesù nella sua risposta introduce un fatto nuovo legato al presente: ”Possono forse gli invitati a nozze, i figli delle nozze, essere in lutto finché lo sposo è con loro?” (Mt 9,15). Gesù è consapevole di essere lo Sposo inviato a Israele-umanità quale buone notizia (cf. Mt 3,16-17), dolce musica (cf. Mt 11,17) e peso leggero (cf. Mt 11,28-30), l’incontro con lui libera pertanto il tempo dalla nota del lutto, simboleggiato dal digiuno, e lo introduce nella gioia, di cui il pasteggiare insieme è segno, medicina per i peccatori, i pubblicani, i discepoli e per chiunque accolga l’invito.
Ma Gesù è altresì consapevole che il suo giorno storico è limitato e sarà tolto violentemente ai suoi e al mondo: “Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto, e allora digiuneranno” (Mt 9,15), i giorni della croce e della ascesa per sempre alla destra del Padre. Digiuno indice di una venatura: del suo volto, atteso e invocato (cf. 1Cor 16,21; Ap 22,20), della sua parola che apre la vita al senso (cf. Mt 4,4), di fame e sete di giustizia digiunando dall’ingiustizia ( Mt 5,6; Is 58). Digiuno inoltre come distanza dal pane per coglierne il senso profondo: svelamento della nostra dipendenza dal pane, sazia la nostra fame, dono che domanda di essere condiviso, è ‘nostro’ (cf. Mt 6,11), segno che ci rivela a noi stessi, un pezzo di pane donato da Dio in Cristo per la fame dell’uomo.
Gesù non abolisce il digiuno, domanda che sia vissuto in segreto per non farsene un merito e nella gioia (cf. Mt 6,16-18), riconosce il suo carattere evocativo di cose altre e lo inserisce all’interno della novità da lui portata. Gesù è venuto a portare il vino nuovo del Vangelo che, ove accolto, genera otri nuovi, cuori cioè nuovi detti all’esterno da un abito nuovo, un esistere evangelico capace di digiuno. Da che cosa? Dal vivere lontani dal proprio Sposo, dal non ascoltare la sua parola, dalla non fame e sete della sua giustizia, dalla non passione della sua misericordia che tutti abbraccia. Un già qui e ora in attesa della sua piena fioritura: “Venga il tuo regno” (Mt 6,10). Gesù non è venuto a rattoppare ma a rinnovare, a far digiunare da ciò che impedisce al nuovo di emergere.
fratel Giancarlo
Puoi ricevere il commento al Vangelo del Monastero di Bose quotidianamente cliccando qui