Un nuovo inizio
Una parola, un imperativo: “Seguimi!”, ed un duplice gesto di resurrezione e di sequela: “Ed egli, alzatosi, lo seguì”. “Alzatosi” (anastás) è un verbo che dice non solo la stazione eretta, ma anche l’atto del risorgere. La chiamata è un movimento di resurrezione, dalla stasi al moto, dal sonno alla veglia, dalla morte alla vita.
Il vangelo non si attarda ad esaminare il “frattempo” interiore di Matteo, fra l’appello ricevuto e la sua risposta: non c’è spazio per un’analisi psicologica, spirituale, interiore o storico-sociologica. C’è un’immediatezza che sorprende, in quella risposta silenziosa, senza parole, tutta concentrata nel duplice gesto del corpo, che si leva e s’incammina. La narrazione evangelica non soppesa le ragioni della scelta che possono aver abitato il cuore di Matteo. “C’è una sola ragione valida per questa corrispondenza tra chiamata e azione: Gesù Cristo stesso. È lui che chiama. Perciò il pubblicano lo segue. Questo incontro attesta l’autorità di Gesù incondizionata, immediata e ingiustificabile. Nulla precede questo incontro e nulla segue se non l’obbedienza del chiamato” (D. Bonhoeffer).
Anche l’invito di Gesù alla sequela è scarno, minimalista, tutto racchiuso nell’esigenza e nel peso di una sola parola: seguire. Ma nulla si dice sull’opportunità di tale sequela, su rischi e vantaggi, sull’itinerario e sulla meta del cammino. L’unico oggetto della sequela, l’unico centro di gravità, l’unico senso del cammino è Lui, il Cristo: seguirlo significa mettere i propri passi sulle sue orme, ovunque egli vada (cf. Mt 8,19). Commentava Beda il Venerabile: “Gesù vide un uomo, chiamato Matteo, lo vide non tanto con lo sguardo degli occhi del corpo, quanto con quello della bontà interiore. Vide un pubblicano e, siccome lo guardò con sentimento di amore e lo scelse (miserando atque eligendo), gli disse: ‘Seguimi’. Seguimi, disse, non tanto col movimento dei piedi, quanto con la pratica della vita”.
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Il Signore che chiama non dice altro, se non: “Seguimi”. “Camminare dietro a lui è, in fondo, qualcosa senza contenuto. Non è certo un programma di vita, la cui realizzazione possa sembrare ragionevole; non è una meta, un ideale a cui si possa tendere. Non è una cosa per cui, secondo l’opinione degli uomini, valga la pena impegnare qualcosa, e tanto meno se stessi” (D. Bonhoeffer).
“Ed egli, alzatosi, lo seguì”. L’adesione a Cristo segna un nuovo inizio: è l’avvio di un’esistenza inedita, la possibilità di un ri-cominciamento, quasi un nascere di nuovo, muovendo i passi sulla via dei paradossi di Dio, come insegna ancora Bonhoeffer: “Si fa un taglio netto e semplicemente ci si incammina. Si è chiamati fuori e bisogna ‘venir fuori’ dall’esistenza condotta fino a questo giorno. Il passato resta indietro, lo si lascia completamente.
Il discepolo viene gettato dalla sicurezza relativa della vita nell’assoluta mancanza di sicurezza (ma, in realtà, nell’assoluta sicurezza e tranquillità della comunione con Gesù); da una situazione di cui ci si può rendere conto e che si può valutare (ma in realtà del tutto imprevedibile), in una esistenza imprevedibile, esposta al caso (ma in realtà l’unica determinata dalla necessità e valutabile); dall’ambito delle possibilità limitate (ma in realtà infinite) nell’ambito delle possibilità illimitate (ma di fatto nell’unica realtà veramente liberatrice). Questo non è null’altro che il vincolo che lega solo a Gesù Cristo, cioè appunto la completa rottura con ogni piano programmato, ogni aspirazione idealistica, ogni legalismo. Perciò non si può dare altro contenuto, perché Gesù Cristo è l’unico contenuto. Accanto a Gesù non possono esserci altri contenuti: Lui stesso è il contenuto”.
fratel Emanuele
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