Monastero di Bose – Commento al Vangelo del giorno – 2 Febbraio 2023

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Il dono e la legge

Seguendo la narrazione degli eventi che hanno preparato e realizzato la nascita di Gesù fin qui esposti dall’evangelista Luca, vi vediamo in filigrana una logica sottostante, un segno caratterizzante: il segno del dono. Tutto fin qui si realizza come dono: come dice il profeta Isaia, “ci è stato donato un figlio” (Is 9,6). Questo è ciò che hanno vissuto per primi Maria e Giuseppe, ma dopo di loro, questo è ciò che per grazia è vissuto da ogni credente: “Un bambino è nato per noi” (Is 9,6), come ancora dice Isaia. È la grazia stupefacente di ogni nascita, come sa bene per esperienza ogni genitore: un figlio non è “prodotto” da chi lo genera, ma viene da Altrove, da un “Oltre” generoso e generante. E questa coscienza è tanto più viva – ci mostra Luca – nei genitori di Gesù, che accolgono fin dall’inizio quel figlio come creatura generata dall’Alto.

Di fronte al dono di un figlio, lo si può rifiutare (in molti modi) o accogliere (in altrettanti modi). Ma una volta accolto come dono, si entra in un processo delicato e fecondo, che coinvolge essenzialmente due dimensioni: la responsabilità e la libertà. Il dono sorgivo di un figlio vive e cresce solo se “portato” davanti alla sua Origine vera, ultima. Questo “portare” oltre sé stessi è proprio ciò che fanno Maria e Giuseppe, i quali, “quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale … portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore” (v. 22). Questo “portare” è un movimento che ha un fine preciso, riassunto dalle parole di Luca con due verbi fondamentali, pregni di vita: “presentare” (v. 22) e “offrire” (v. 24). Due verbi che stanno all’interno della stessa logica fin qui vissuta: la logica del dono. Quel “portare” ha inoltre un destinatario preciso – il Signore (v. 22) –, un luogo preciso – Gerusalemme/tempio (v. 22) – e un mezzo preciso – la legge del Signore (vv. 22.23.24) –. Tutti e tre – destinatario, luogo e mezzo – altro non sono che espressioni del Dono originario, che sempre si manifesta come invocazione di una relazione tra Dio e l’essere umano nella modalità dell’alleanza.

L’obbedienza di Maria e Giuseppe non ha, allora, nulla di legalistico, di formale, di ritualistico: il dono della Vita ricevuto attraverso quella nascita, ora presentato e offerto, incarna una nuova tappa dell’alleanza di Dio con l’umanità. Incarna e attualizza la medesima logica del dono di cui la legge del Signore è espressione, quando questa legge è vissuta nel tempio costruito con le fibre delle nostre vite, gli unici santuari in cui dare gloria, far crescere e ben maturare il dono della Vita. Vite ben maturate come quelle di Simeone e Anna, che l’evangelista Luca ci offre come figure ispiranti anche il nostro personale dono al Signore: il dono di una “vita a braccia aperte”, sempre pronta all’accoglienza del dono di Dio, come quella di Simeone (cf. v. 28); il dono di una “vita sempre a casa” presso la dimora di Dio, mai lontana dalla presenza del Signore, come quella di Anna (cf. v. 37).

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fratel Matteo

Per gentile concessione del Monastero di Bose

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