Monastero di Bose – Commento al Vangelo del giorno – 19 Luglio 2022

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Un legame di libertà

Da subito il testo ci dà testimonianza delle priorità di Gesù: insegnare la folla e parla dell’urgenza della conversione (v. 41) e del discernimento degli “spiriti impuri” (v. 45) che assalgono la nostra casa interiore e ci allontanano dalla gioia profonda di Gesù: “Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli… Nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo”.

Come lo spirito impuro del brano precedente, che non conosce il Figlio, è fuori e si aggira, così sono “fuori” madre e fratelli, ci lascia intendere Matteo che non ha timore di mostrare la fatica che hanno fatto i suoi familiari a conoscere Gesù come il “Figlio del Padre”, a entrare nello spirito di umiltà e povertà interiore che solo permette di capire il legame tra Gesù e suo Padre. All’età di dodici anni Gesù non aveva già detto loro: “Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?” (Lc 2,49).

Le parole “madre, fratelli, sorelle” toccano in noi la fibra degli affetti e degli attaccamenti, che siano amore o odio, e ci possiamo stupire della reazione così drastica di Gesù davanti ai suoi. La sua radicalità ci dà fastidio, facciamo fatica a comprenderla e ancora più ad assumerla. Eppure Marco è più esplicito di Matteo, e non nasconde il contenuto delle parole dei parenti di Gesù. Matteo dice “cercavano di parlargli” e Marco dice: “I suoi dicevano: è fuori di sé” (Mc 3,21). 

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La lettura di Matteo è meno esplicita ma non meno critica. Non dice che Gesù è fuori di testa ma dice che i suoi sono fuori dal cerchio di quelli che lo ascoltano, da quelli che si sono messi in cammino dietro a lui accettando di lasciare padre e madri e fratelli per seguirlo. Gesù non cede loro in nulla, si stringe al passo del profeta Isaia (42,1-4) citato in Mt 12,18 con il quale egli legge la sua vocazione, la sua chiamata e la sua appartenenza al Padre: “Ecco il mio servo, che io ho scelto; il mio amato, nel quale ho messo il mio compiacimento. Porrò il mio spirito sopra di lui e annuncerà alle nazioni la giustizia.”

Gesù non cede davanti alle contestazioni (le sue diatribe precedenti il nostro testo con i religiosi), e neppure alle pressioni della sua famiglia. Nessun legame può impossessarsi di lui. Non rinnega l’affetto, ma lotta contro gli attaccamenti. Come Lui, anche noi, non apparteniamo ai familiari ma apparteniamo, se accettiamo la nostra chiamata alla sequela di Cristo, al Padre. 

Gesù denuncia ogni possessività: quella degli spiriti impuri come quella degli affetti legittimi. Davanti alle difficoltà che incontra non torna indietro: “Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro è adatto per il Regno di Dio” (Lc 9,62), perché sarebbe un seguire uno spirito impuro che dice: “Ritornerò nella mia casa, da cui sono uscito”. Ci viene proposto un legame nuovo, un legame di libertà, perché poggia sulla libertà di Gesù, il solo che conosce il Padre e che abbraccia la famiglia umana facendoci “fratello, sorella e madre” gli uni degli altri nella volontà di aderire al desiderio del Padre che è nei cieli.

sorella Sylvie


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