Segno di giustizia e misericordia
Una controversia serrata tra Gesù e alcuni farisei scandisce tutti gli episodi che precedono il nostro brano. Essi chiedono un segno “per metterlo alla prova” specifica Matteo al capitolo 16. Eppure proprio di segni è costellato il cammino di Gesù fin qui, dalla guarigione dell’uomo dalla mano inaridita a quella del cieco e muto indemoniato che provoca lo stupore delle folle.
La reazione dei farisei che cercano un modo per uccidere Gesù (cf. Mt 12,14) rivela un cuore malvagio incapace di riconoscere che l’altro davanti a me è “di più” (cf. Mt 12,6.41.42) rispetto al giudizio che posso avere di lui, è di più perché sempre segno della misericordia di Dio.
Nello stesso capitolo troviamo due passi riportati due volte dal redattore; la citazione di Os 6,6: “Misericordia io voglio e non sacrificio” (Mt 9,13; 12,7) e la domanda di un segno da parte dei farisei (cf. Mt 12,38; 16,1-4).
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La misericordia, che esprime il di più di Dio rispetto alla visione che noi ci facciamo di lui e che in Matteo è ben espressa nel discorso della montagna (cf. Mt 5,47-48), fa emergere la malvagità di un cuore che pretende un segno non per credere, ma solo per sclerotizzarsi nella propria durezza.
Gesù rimanda sempre i suoi interlocutori alla parola della Scrittura. Ma la parola non si risolve in una questione di principi o leggi da difendere a tutti i costi, al contrario essa ci è data per mettere in crisi tutto ciò che interferisce con la possibilità di vedere l’altro come un figlio, una figlia amati da Dio.
Le storie di Giona che si rifiuta di predicare agli abitanti di Ninive e per questo è inghiottito da un pesce, e della regina di Saba che dal lontano sud viene per conoscere il re Salomone, ammirata dalla sua fama, ci mostrano che spesso sono gli estranei, le genti, i lontani ad accogliere l’annuncio della parola, indicandoci l’autentico cammino di conversione che sa porsi in ascolto dell’altro mettendosi in discussione rispetto alle proprie certezze e tradizioni.
Al centro dell’episodio vi è l’annuncio del Figlio dell’uomo che resterà tre giorni e tre notti nel cuore della terra, annuncio della morte di Gesù, preludio alla sua resurrezione, che è la speranza consegnata alle genti (cf. Mt 12,21) dal servo del Signore che annuncia la giustizia con modalità ben diverse rispetto al nostro modo spesso arrogante e impositivo della verità che crediamo di possedere e urliamo agli altri incuranti della ferita e della sensibilità di chi ci sta davanti.
Infine tre giorni e tre notti ci indicano un’attesa sempre necessaria perché il cammino si chiarisca ai nostri occhi, perché ci sia dato come agli apostoli, in questa attesa, nell’oscurità delle nostre esistenze, di riconoscere le nostre fragilità e cadute e di vedere la luce che ci sta davanti e che possiamo raggiungere solo camminando insieme a quanti vengono da altre strade, portando la loro ricchezza e unicità, come la regina di Saba che con inestimabili tesori si reca dal re Salomone (cf. 1Re 12,42). Il nostro orizzonte comune è sempre la resurrezione di Cristo, vera eloquenza della misericordia di Dio, della speranza deposta nel cuore di ogni vivente, più di ogni legge umana, di ogni principio morale, di ogni dogma, di ogni tempio, speranza capace di sperare oltre ogni speranza, nutrita dall’amore più forte della morte, più tenace degli inferi (cf. Ct 8,6).
Se saremo disposti a metterci in cammino insieme agli altri, rinunciando alla comodità delle nostre certezze, potremo essere segno autentico di quella verità di giustizia e misericordia che è sempre davanti a noi, tensione e aspirazione delle nostre vite e mai possesso geloso (cf. Fil 2,5-6) da difendere contro gli altri.
fratel Nimal
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